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104, sì ai permessi usati fuori casa per attività connesse all’assistenza

Una recentissima sentenza della Corte di cassazione sembra aprire la possibilità di usare i permessi previsti dalla legge 104/1992 per attività non strettamente legate all’accudimento materiale del disabile.


Questo orientamento potrebbe portare a ritenere che attività di carattere ordinario (quali ad esempio prelevare al bancomat) che richiedono pochi minuti e che possono essere svolte in qualsiasi momento della giornata (non solo in favore del disabile ma, al contempo, in favore di chi lo assiste) possano essere portate a termine con l’aiuto dei permessi al lavoratore finanziati dalla collettività.


L’orientamento giurisprudenziale oggi prevalente ritiene invece che non possa considerarsi una forma di assistenza il fatto di svolgere attività ordinarie (come lavare, stirare, fare la spesa) che potrebbero essere svolte in qualsiasi momento della giornata (essendo attività non vincolate a orari precisi), senza necessità di richiedere i permessi «104».


L’articolo 33, comma 3, della legge 104/1992 riconosce al lavoratore che assiste un parente con disabilità grave, coniuge (o convivente more uxorio), parente o affine entro il secondo grado – o entro il terzo grado se i genitori o il coniuge della persona con handicap in situazione di gravità abbiano compiuto i 65 anni di età o siano anche essi affetti da patologie invalidanti o siano deceduti o mancanti – il diritto a fruire di tre giorni di permesso mensile retribuito, anche in maniera continuativa, sempre che la persona disabile non sia ricoverata a tempo pieno. 


La norma ha subito diverse modifiche negli anni, tuttavia la finalità solidaristica dei permessi è rimasta immutata, come affermato dalla Corte costituzionale con sentenza 213 del 23 settembre 2016, secondo cui questi permessi rappresentano uno dei più importanti strumenti di politica socio-assistenziale previsti dal legislatore italiano.

Non mancano tuttavia gli abusi nella fruizione dei permessi. La Cassazione ha confermato la legittimità del licenziamento intimato a un dipendente che usava i permessi per partecipare a serate danzanti invece di assistere la madre disabile. È stata ritenuta giusta causa di licenziamento anche la condotta della lavoratrice che, sottraendosi ai doveri di assistenza, si recava all’università per frequentare le lezioni, durante il tempo dei permessi.


Un’altra fattispecie ricorrente è quella della doppia attività lavorativa messa in atto dal lavoratore, in luogo dell’attività assistenziale. La Corte ha riconosciuto che questo comportamento viola irrimediabilmente il vincolo fiduciario che deve presiedere il rapporto di lavoro, configurando valida ragione per procedere al licenziamento per giusta causa.


La Cassazione ha poi confermato la legittimità del licenziamento intimato al lavoratore che svolgeva l’attività assistenziale soltanto per un’esigua parte del tempo relativo ai permessi «104» (pari al 17,5%), poiché questa condotta integrava una grave violazione dei principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto di lavoro.


La giurisprudenza ha precisato che deve sussistere un nesso causale tra la richiesta dei permessi «104» e l’attività di assistenza.


L’abuso dei permessi «104» andrà accertato caso per caso, anche con l’aiuto di agenzie investigative. Il controllo effettuato da queste ultime è senz’altro legittimo, non riguardando l’adempimento della prestazione lavorativa ed essendo condotto al di fuori dell’orario di lavoro.

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