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Ace, ritorno senza soluzione di continuità

Ritorna l’Ace con il comma 287 dell’articolo 1 della legge di bilancio 2020. 

L’Ace rappresenta un importante incentivo alla capitalizzazione delle imprese italiane, che ritrovano uno strumento conosciuto e collaudato e possono così riprendere in modo virtuoso la precedente pianificazione finanziaria e patrimoniale, in sintonia con l’obiettivo originariamente formulato fin dal 2011, vale a dire la riduzione dello squilibrio tra imprese che si finanziano con il debito ovvero con il capitale di rischio. 

Contemporaneamente, viene eliminata la mini-Ires, a suo tempo introdotta dall’articolo 1, comma 1080, della legge 145/18, poi modificata dall’articolo 2, commi 1-8 del decreto legge 34/19. Con decorrenza dal periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2018 (2019 per i soggetti solari), la nuova norma prevede che si applichino le disposizioni di cui all’articolo 1 del decreto legge 201/11, con un rendimento nozionale del nuovo capitale proprio pari all’1,3%, laddove nel 2018 il rendimento era stato pari all’1,5 per cento. 

La certezza della reintroduzione consente ancora qualche giorno di attività al fine di pianificare al meglio l’effetto Ace sul 2019. 

I soggetti interessati sono quelli Ires, di cui all’articolo 73, comma 1, lettera a) e b) del Tuir, incluse le stabili organizzazioni di soggetti non residenti, ed i soggetti Irpef (persone fisiche, snc e sas) in contabilità ordinaria. Dal punto di vista oggettivo, il rendimento nozionale si applica all’incremento netto del capitale proprio, corrispondente alla differenza tra:

  • elementi positivi, quali gli utili accantonati a riserva, ad esclusione di quelli destinati a riserve non disponibili, i conferimenti in denaro, compresa la rinuncia incondizionata dei soci alla restituzione dei crediti e la compensazione dei crediti in sede di sottoscrizione di aumenti di capitale sociale; 
  • elementi negativi, quale la riduzione del patrimonio netto con attribuzione ai soci a qualsiasi titolo, compresa la riduzione conseguente l’acquisto di azioni proprie.

Gli incrementi derivanti da conferimento in denaro rilevano a partire dalla data del versamento, mentre quelli derivanti da accantonamento di utili rilevano a partire dall’inizio dell’esercizio in cui è assunta la delibera di destinazione dell’utile. I decrementi rilevano a partire dall’inizio dell’esercizio in cui si sono verificati. In ciascun esercizio la variazione in aumento non può eccedere il patrimonio netto risultante dal relativo bilancio, ad esclusione delle riserve per acquisto azioni proprie. 

L’incremento netto di capitale può ridursi in base alla normativa anti elusione, principalmente applicabile nei gruppi societari, che è stata enucleata nell’articolo 10 del decreto ministeriale 3 agosto 2017. Merita sottolineare che la continuità dell’Ace comporta che il 31 dicembre 2010 continua ad essere il termine di raffronto per il calcolo dell’eventuale variazione in aumento dei crediti finanziari infragruppo e delle consistenze dei titoli e valori mobiliari, diversi dalle partecipazioni. Tale norma si applica ai soggetti diversi da quelli che svolgono attività assicurative e finanziarie di cui alla sezione K dell’Ateco 2007, ad eccezione delle holding non finanziarie.

Il regime Ace è applicabile ai soggetti che aderiscono al consolidato fiscale ed alla trasparenza fiscale, come regolato dagli artt. 6 e 7 del decreto ministeriale 3 agosto 2017. Da ultimo, l’Ace assume interesse anche per le imprese in perdita fiscale Ires che, tramite il comma 4 dell’art. 1 del decreto legge 201/11, possono trasformare l’eccedenza Ace di periodo inutilizzata in credito d’imposta per pagare l’Irap, da ripartire in cinque quote annuali di pari importo.


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