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Affitti concordati, la proroga è biennale

Le proroghe dei contratti a canone concordato sono biennali e non triennali. 

La legge 431/1998 consente infatti la stipula del contratto cosiddetto a “canone concordato”, tra cui spicca la fattispecie del 3+2. Tale tipo di contratto consente alle parti di stabilire l’entità del canone entro dati termini, con un massimo e un minimo. Le soglie vengono fissate, a livello locale, dalle organizzazioni della proprietà edilizia con quelle maggiormente rappresentative degli inquilini. In mancanza di accordo locale.

Notevoli e interessanti sono i vantaggi fiscali che discendono per chi opta per tale forma contrattuale, rispetto a quella “di mercato” (il cosiddetto “4+4”). Per il “concordato”, in regime di cedolare secca, l’aliquota è del 10% invece che del 21 per cento. Inoltre, ai fini Imu e Tasi, è possibile beneficiare di una riduzione del 25% della base imponibile.

Il principale problema legato a tale fattispecie contrattuale era, tuttavia, la portata del rinnovo tacito al termine del quinto anno (cioè dopo la prima proroga biennale), a seconda se possa intendersi biennale o triennale. Proprio per di dirimere la querelle è recentemente intervenuto il legislatore: il quale, in sede di conversione del Dl 34/2019, ha inserito l’articolo 19 bis, qualificandolo come «norma di interpretazione autentica in materia di rinnovo dei contratti di locazione a canone agevolato». In forza di essa è stato così stabilito che il quarto periodo del comma 5 dell’articolo 2 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, si interpreta nel senso che, in mancanza della comunicazione ivi prevista, il contratto è rinnovato tacitamente, a ciascuna scadenza, per un ulteriore biennio. 

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