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Azienda coniugale o impresa familiare

Aziende coniugali e familiari presentano rilevanti differenze ai fini delle imposte sui redditi e va posta particolare attenzione ai criteri in base ai quali distinguere i casi in cui l’azienda coniugale resta un’impresa individuale da quelli in cui è, invece, configurabile una società di fatto tra i coniugi.
Tramite l’impresa familiare, l’imprenditore individuale esercita l’attività con la collaborazione dei suoi familiari, ossia il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado (articolo 230 bis del codice civile).
L’articolo 5, comma 4, del Tuir stabilisce che i relativi redditi (e non le perdite) sono imputati, non oltre il 49%, a ciascun familiare, a condizione che abbia prestato in modo continuativo e prevalente (anche se non esclusivo) l’attività di lavoro nell’impresa, che resta “individuale”.
La partecipazione dei singoli familiari deve risultare da atto pubblico o da scrittura privata autenticata stipulato entro il 31 dicembre precedente l’anno nel quale avviene la distribuzione degli utili e nella dichiarazione dei redditi va attestato (mediante la sua sottoscrizione) che le quote di partecipazione agli utili attribuite ai collaboratori sono proporzionate alla quantità e qualità del lavoro effettivamente prestato.
Se non sono rispettate le condizioni richieste, il reddito prodotto dall’impresa familiare è assoggettato per intero a imposizione in capo al titolare.
Impresa dei coniugi. Questo istituto trae origine dall’articolo 177 del Codice civile, il quale stabilisce che sono oggetto della comunione dei beni tra coniugi le aziende gestite da entrambi e costituite dopo il matrimonio: ricorrendo tale ipotesi, la comunione riguarda tutto il valore dell’azienda nonché gli utili.
Qualora si tratti, invece, di aziende appartenenti a uno dei coniugi prima del matrimonio, ma gestite da entrambi, la comunione concerne solo gli utili e gli incrementi. La rilevanza di tale previsione normativa ai fini delle imposte sui redditi è stabilita dall’articolo 4 del Tuir, in base al quale i redditi dei beni che formano oggetto della comunione legale secondo gli articoli 177 e seguenti del Codice civile sono imputati a ciascuno dei coniugi per metà del loro ammontare netto o per la diversa quota stabilita nella convenzione matrimoniale.
L’amministrazione finanziaria ha affermato che, se l’azienda coniugale appartiene a uno dei coniugi già prima del matrimonio e viene successivamente gestita da entrambi, resta una ditta individuale. Quindi il titolare compila il quadro del reddito d’impresa dichiarando il 50% del reddito e l’altro coniuge compila il quadro RH indicando l’altro 50 per cento.
Qualora, invece, l’azienda coniugale sia costituita dopo il matrimonio e gestita in forma societaria (entrambi i coniugi sono, ad esempio, titolari della licenza) va presentata la dichiarazione dei redditi delle società di persone, essendo equiparata alla società di fatto.
Per l’azienda coniugale non è richiesta la presenza dei requisiti, già descritti, necessari ai fini del riconoscimento degli effetti fiscali derivanti dalla costituzione dell’impresa familiare.
Il titolare dell’impresa familiare esercita da solo la gestione della stessa mentre per la configurabilità dell’azienda coniugale è necessaria la gestione in comune da parte dei i coniugi. In quest’ultimo caso il reddito è ripartito tra i coniugi al 50% – o nella diversa misura stabilita con convenzione matrimoniale – mentre ai collaboratori dell’impresa familiare non può essere attribuito più del 49% del reddito.

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