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Beni assegnati, il nodo dei costi

Mancanza della liquidità per pagare l’imposta sostitutiva, patrimonio netto insufficiente, impossibilità di saldare il debito.
Sono tra i motivi più comuni per cui alcune società potrebbero dover rinunciare alla disciplina di favore che consente l’assegnazione o la cessione agevolata dei beni ai soci, oppure la trasformazione in società semplice.
Di fatto, per poter assegnare i beni ai soci è necessario disporre di un patrimonio netto capiente e avere beni che soddisfino, in termini di valore, le proporzioni di partecipazione al capitale sociale dei soci. Si può al limite ricorrere a conguagli anche attraverso un “aumento” del patrimonio netto, ma ci deve essere allora disponibilità finanziaria.
Quando poi si scegliesse l’opzione della cessione agevolata, ci si potrebbe scontrare con l’impossibilità nel saldo del debito da parte del socio cessionario, con qualche probabile malcontento degli altri soci.
Infine, anche sul fronte della trasformazione in società semplice si deve tenere conto che tale tipologia di forma associativa non può assolutamente svolgere attività economica.
Per tutte queste ragioni, l’assegnazione agevolata può rivelarsi una via non percorribile da tutti, anche in considerazione del fatto che attualmente non tutte le imprese sono in grado di sborsare l’8% (o il 10,5%, se non operative).
È bene allora ricordare quali sono i problemi operativi che restano aperti per le società che non cedono e non assegnano i propri beni (e non si trasformano). Gli aspetti da considerare sono principalmente due:
– in primo luogo la non operatività della società, che quindi rischia di dover dichiarare redditi minimi determinati dal fisco, su cui pagare – se di capitali – anche una maggiorazione dell’Ires (10,5%);
– in secondo luogo, l’indeducibilità dei costi sostenuti per i beni utilizzati dai soci, se questi non versano un “adeguato” corrispettivo per il loro godimento.
È quest’ultimo uno dei problemi da non sottovalutare, perché può avere un impatto fiscale sulla società e un importante riflesso reddituale sul socio.
Il Dl 138/2011 ha introdotto una norma volta a colpire proprio la concessione in godimento di beni societari ai soci o a loro familiari per valori non considerati “normali”. L’effetto di tale disposizione non è di poco conto per l’impresa e si ripercuote direttamente sulla dichiarazione dei redditi riferita al periodo d’imposta in cui avviene tale godimento.
Premettendo che i beni dell’impresa coinvolti dalla disposizione sono quelli sia strumentali, sia merce e sia patrimonio, la norma sancisce l’indeducibilità di tutti i costi relativi ai beni concessi in godimento. Non si tratta, perciò, solo dei costi sostenuti per l’acquisto dei beni, ma anche delle eventuali spese ad essi riferite: per esempio, quelle di manutenzione, ordinaria e straordinaria, oppure di gestione. In merito a tale indeducibilità, è tuttavia necessario fare una distinzione a seconda che i beni, a cui si riferiscono le spese, subiscano già (o no) una limitazione della deducibilità dovuta a particolari disposizioni di natura tributaria.

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