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Carta di regolarità fiscale

Il certificato di affidabilità fiscale previsto dall’articolo 4 del Dl fiscale non solo serve al committente per evitare controlli sugli obblighi di versamento delle ritenute da parte delle imprese appaltatrici, ma è fondamentale anche per queste ultime per salvaguardare il proprio equilibrio finanziario. È questa una delle conclusioni che si traggono esaminando il testo definitivo della norma. 

Le nuove procedure si applicano alle opere/servizi affidati a terzi da soggetti in grado di rivestire la qualifica di sostituti d’imposta quando ricorrono, congiuntamente, i seguenti requisiti: importo complessivo annuo superiore a 200mila euro, prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente ed utilizzo di beni strumentali di proprietà di quest’ultimo o ad esso riconducibili. Da gennaio 2020, scattano quindi adempimenti documentali da parte delle imprese che prestano opere o servizi verso il committente e oneri di verifica ed eventuale intervento a carico di quest’ultimo. 

L’appesantimento amministrativo e la maggiore rischiosità in capo al committente vengono meno se le imprese esecutrici sono in grado di fornire mensilmente o, comunque, con periodicità costante il certificato di affidabilità fiscale rilasciato dall’agenzia delle Entrate, che ha validità quattro mesi dalla data del rilascio. Questa certificazione (che andrà opportunamente riscontrata dal committente nelle modalità descritte da un provvedimento di prossima emanazione) riguarderà l’anzianità (almeno triennale) dell’impresa esecutrice, la sua regolarità fiscale a livello di obblighi dichiarativi, il superamento di un ammontare predefinito di versamenti sul conto fiscale e l’assenza di carichi pendenti scaduti superiori a 50mila euro presso l’agente della riscossione, il tutto aggiornato all’ultimo giorno del mese precedente a quello dell’obbligo di versamento. 

È evidente che i committenti imporranno negozialmente questa procedura, l’unica in grado di mantenere gli oneri e le responsabilità attualmente vigenti e di evitare la nuova disciplina. Ma l’opzione della certificazione è assolutamente opportuna anche per l’impresa appaltatrice/subappaltatrice o affidataria. Infatti, non solo in questo modo si evita la laboriosa ricostruzione sulle retribuzioni dei dipendenti addetti alle varie commesse (da fornire ad ogni committente con distinzione per singolo appalto) e ci si sottrae ai controlli imposti dalla legge al committente, ma si sfugge a seri problemi di liquidità. 

Il certificato liberatorio, infatti, consente di evitare: il divieto di compensazione nei versamenti delle ritenute di reddito di lavoro dipendente ed assimilato di cui al comma 1 (peraltro da effettuarsi su tanti F24 quanti sono i committenti); il divieto di compensazione nel versamento dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi assicurativi obbligatori, maturati in relazione ai dipendenti di cui sopra; l’eventuale blocco dei pagamenti imposto (sino all’ammontare delle ritenute presuntivamente non versate o sino a concorrenza del 20% del valore complessivo dell’opera o del servizio) al committente in caso di inadempimenti – anche solo documentali – dell’impresa esecutrice. 

Tutte queste restrizioni di liquidità potrebbero mettere definitivamente in ginocchio l’impresa appaltatrice/subappaltatrice o affidataria, la quale ha quindi un interesse almeno pari a quello dell’impresa committente nell’applicare questa procedura che, prevista dal legislatore come un’alternativa, in realtà finirà per relegare gli altri adempimenti che sostituisce alle fattispecie patologiche. Anche per questo, il provvedimento attuativo non può tardare.


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@ Beneggi e Associati | Commercialisti al servizio delle imprese | Meda | Milano

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