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Cedolare secca per gli immobili commerciali, guida operativa

La legge di Bilancio sottopone i potenziali interessati a una serie di limiti così severi che ben pochi potranno davvero applicare la tassa piatta al 21 per cento.

La cedolare è limitata ai fabbricati accatastati nella categoria «negozi e botteghe» (C/1). Esclusi gli uffici (A/10), ma anche i laboratori artigianali (C/3). Inoltre, i locali cui si applica la cedolare non devono superare i 600 metri quadrati. Nella superficie, però, non si contano le pertinenze, che pure possono essere locate insieme al negozio (la legge non fissa limiti espliciti, né di numero, né di categoria catastale). 


La cedolare secca può essere applicata dai locatori persone fisiche. Sono quindi escluse le società, ma potrebbero rientrarvi gli imprenditori che sfrutteranno la chance prevista dalla legge di Bilancio per “estromettere” dalla sfera aziendale gli immobili e darli in locazione come privati. La legge non dice nulla sull’inquilino, che quindi potrà anche essere una società.


Il limite più grande riguarda i contratti, perché si può optare per la nuova imposta solo se la locazione è stata stipulata nel 2019 (e solo a patto che alla data del 15 ottobre 2018 non fosse in corso – tra gli stessi soggetti e per lo stesso immobile – un contratto non scaduto e poi risolto in anticipo). 


I contratti di locazione a uso diverso dall’abitativo sono disciplinati dalla legge 392 /1978, che – salvo casi particolari – è inderogabile. Locatore e conduttore possono liberamente determinare l’ammontare del canone, il regime di ripartizione delle spese, la forma del contratto (che può anche essere verbale, fino a un canone di 250mila euro), eccetera.


Sono vincolate – tranne casi particolari – le pattuizioni sulla durata del contratto, sull’aggiornamento del canone (salvo che l’immobile abbia durata superiore a quella minima), sull’ammontare del deposito cauzionale, sull’indennità di avviamento, sulla sublocazione/cessione del contratto, sulla prelazione, e altro. Infatti, l’articolo 79, commi 1 e 2, della legge 392/78 dispone che «è nulla ogni pattuizione diretta a limitare la durata legale del contratto o ad attribuire al locatore un canone maggiore rispetto a quello previsto dagli articoli precedenti ovvero ad attribuirgli altro vantaggio in contrasto con le disposizioni della presente legge. Il conduttore con azione proponibile fino a sei mesi dopo la riconsegna dell’immobile locato, può ripetere le somme sotto qualsiasi forma corrisposte in violazione dei divieti e dei limiti previsti dalla presente legge». Sono consentite deroghe per le locazioni con canone annuo superiore a 250mila euro, purché il contratto sia in forma scritta. Lo stesso articolo 79, terzo comma, stabilisce infatti che «in deroga alle disposizioni del primo comma, nei contratti di locazione di immobili adibiti ad uso diverso da quello di abitazione, anche se adibiti ad attività alberghiera, per i quali sia pattuito un canone annuo superiore a 250mila euro, e che non siano riferiti a locali qualificati di interesse storico a seguito di provvedimento regionale o comunale, è facoltà delle parti concordare contrattualmente termini e condizioni in deroga alle disposizioni della presente legge. I contratti di cui al periodo precedente devono essere provati per iscritto».


Le parti possono comunque determinare liberamente la cifra del canone. Per l’aggiornamento, l’articolo 32 della legge 392/78 dispone che le variazioni in aumento non possano essere superiori al 75% rispetto a quelle, accertate dall’Istat, dell’indice dei prezzi al consumo per famiglie di operai e impiegati, salvo che la durata minima del contratto superi quella prevista dalla legge.


I contratti di locazione ad uso diverso hanno durata minima di sei anni per immobili adibiti ad attività industriali, commerciali e artigianali di interesse turistico (agenzie di viaggio e turismo, impianti sportivi e ricreativi, aziende di soggiorno e altri organismi di promozione turistica e simili). Se l’immobile è destinato ad attività alberghiere o all’esercizio di attività teatrali, la durata minima non può essere inferiore a nove anni. È però possibile stipulare contratti di durata inferiore, a patto che sia provato il carattere transitorio dell’attività connessa alla locazione. Nel caso particolare della locazione stagionale, il locatore è obbligato ad affittare l’immobile, per la medesima stagione dell’anno successivo, allo stesso conduttore che ne ha fatto richiesta inviando al proprietario una lettera raccomandata prima della scadenza del contratto. 


È consentito alle parti di inserire nel contratto la possibilità che il conduttore receda in qualsiasi momento dall’accordo. Quest’ultimo è tenuto a comunicare la decisione al locatore con almeno sei mesi d’anticipo, con lettera raccomandata con ricevuta di ritorno. Lo stesso termine si applica se alla base del recesso vi siano gravi motivi. L’articolo 28 della legge sull’equo canone dispone inoltre che i contratti di locazione commerciale e alberghiera una volta scaduti si rinnovano tacitamente rispettivamente di sei e nove anni, a meno che il locatore non comunichi la disdetta, con lettera raccomandata con ricevuta di ritorno, almeno 12 o 18 mesi prima della scadenza dell’accordo. 


La legge stabilisce la possibilità per il locatore, alla prima scadenza del contratto, di negare il rinnovo dell’accordo, ma solo se sussistono le condizioni previste dall’articolo 29 della legge 392/78. Il rinnovo può essere negato se il proprietario sceglie di demolire l’immobile per una ristrutturazione integrale, un completo restauro o «per rendere la superficie dei locali adibiti alla vendita conforme a quanto previsto nell’articolo 12 della legge 426/1971 (…), e ai relativi piani comunali, sempre che le opere da effettuarsi rendano incompatibile la permanenza del conduttore nell’immobile». Per immobili adibiti ad albergo, pensione o locanda, anche se ammobiliati, il locatore può negare il rinnovo del contratto nel caso in cui decida di «ricostruire l’immobile, ferma restando la destinazione alberghiera, o di apportare all’immobile, adibito ad albergo o a pensione, notevoli migliorie che ne aumentino la capacità ricettiva o che comportino un passaggio dell’azienda a categoria superiore». O se intenda esercitare personalmente nell’immobile o farvi esercitare dal coniuge o da parenti diretti entro il secondo grado la medesima attività del conduttore.

Nella disciplina dell’articolo 3, Dlgs 23/2011, l’applicazione della cedolare è limitata alle locazioni da parte di persone fisiche che non agiscono nell’esercizio d’impresa, arti o professioni. Secondo la tradizionale (e mai smentita) interpretazione delle Entrate, la qualifica di soggetto non imprenditore deve sussistere sia per il locatore che per il locatario. Ne consegue che i contratti abitativi stipulati, ad esempio, nei riguardi di un istituto di credito, che adibisce l’immobile locato a foresteria per i propri dipendenti, non potrebbero rientrare nel regime. Parte della giurisprudenza di merito, però, dissente. 


La manovra 2019 non prevede condizioni di carattere soggettivo per il conduttore: trattandosi di locazioni commerciali, sarebbe incongruo impedirne la conclusione con soggetti imprenditori. Resta fermo, però, che il locatore non deve agire nell’esercizio d’impresa, poiché anche la nuova disposizione di legge qualifica la cedolare come alternativa all’ordinaria «tassazione del reddito fondiario ai fini Irpef». Dunque, se il locatore agisse in veste d’imprenditore, si avrebbe reddito d’impresa e non fondiario. 


Il nuovo campo di applicazione della cedolare è rivolto ai contratti di affitto commerciale che riguardano unità immobiliari classificate nella categoria catastale C/1 (negozi e botteghe). Ulteriore requisito: la superficie massima dell’unità immobiliare non deve superare i 600 metri quadrati. Ma in assenza di precisazioni legislative, si ritiene che il riferimento sia alla superficie effettivamente calpestabile, al netto dei muri perimetrali, e non alla superficie catastale (che costituisce un dato convenzionale, valido solo ove espressamente richiamato). Nel limite massimo non sono comprese le pertinenze del fabbricato. Significa che l’estensione complessiva può anche superare i 600 metri quadrati se l’unità principale non eccede tale superficie. 


L’affitto delle pertinenze può beneficiare della cedolare a condizione che sia “congiunto” a quello del fabbricato C/1. Come già chiarito nella circolare 26/E/2011, la condizione sussiste anche se l’affitto delle pertinenze è eseguito con atto separato, purché si tratti delle stesse parti e si menzioni il contratto di locazione principale, evidenziando la natura pertinenziale delle unità con contratto “accessorio”.


La cedolare per i negozi ma vale solo per i contratti stipulati nel 2019. Per evitare comportamenti elusivi, la norma precisa che l’opzione non è ammessa in presenza di contratto in essere al 15 ottobre 2018, tra i medesimi soggetti e per lo stesso immobile, «interrotto anticipatamente rispetto alla scadenza naturale». Si ritiene che la «scadenza naturale» coincida con il termine del periodo di proroga automatica: ad esempio, in caso di contratto 6+6, il dodicesimo anno dalla stipula. 


Nulla è detto circa le modalità di esercizio dell’opzione, che pertanto restano quelle ordinarie. 


La scelta della cedolare al 21%, quindi, può essere effettuata all’atto della sottoscrizione del contratto o in una delle annualità successive. Sarà valida l’opzione manifestata, ad esempio, a partire dal 2020, sempre che l’affitto sia stato siglato nel 2019. In qualunque momento si eserciti la scelta, essa conserva validità fino alla scadenza del contratto. 


È fatta salva la possibilità di abbandonare la cedolare a partire da una qualsiasi delle annualità di contratto. In assenza di deroghe espresse, si ritiene che anche in questo caso l’opzione sia valida purché il locatore rinunci ad applicare aggiornamenti del canone per tutta la sua durata. Di ciò, l’inquilino dev’essere informato con lettera raccomandata. In caso di più comproprietari, l’opzione può essere espressa solo da alcuni di loro, ma la rinuncia agli aggiornamenti del canone dev’essere unanime.

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