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Corruzione, l’agente sotto copertura non è «provocatore»

Nella lotta alla corruzione e, più in generale ai delitti contro la pubblica amministrazione, viene ampliato il campo di gioco dell’agente sotto copertura. 


La legge 3/2019, pubblicata ieri sera sulla Gazzetta ufficiale 13, estende l’utilizzabilità di questa risorsa – disciplinata peraltro in una legge ad hoc, la 146 del 2006 – ma senza sconfinare nella figura e nei poteri dell’agente provocatore (suggestione che pure aveva occupato per qualche tempo il dibattito sul punto). 

Chiarissima la distinzione: se l’operatore infiltrato in un’organizzazione criminale (o, in questo caso, in una Pa) può “assumerne” i comportamenti caratteristici per trovare le prove di un illecito sul quale ci sono sospetti (e generalmente anche già un’attività di contrasto in atto), il “provocatore” finirebbe invece per istigare la commissione di un reato, alterando alla foce l’equilibrio del giusto processo.  


La modifica dell’articolo 9 della norma di 13 anni fa, senza incidere in alcun modo sullo status dell’infiltrato, in sostanza apre solo il catalogo dei delitti per i quali possono essere impiegate le cosiddette «tecniche investigative speciali». A cominciare dalla classica concussione, passando per la corruzione per l’esercizio della funzione, e ancora la corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, la corruzione propria aggravata dall’avere ad oggetto pubblici impieghi o stipendi o pensioni (fino al pagamento o al rimborso dei tributi), e ancora la corruzione in atti giudiziari, l’induzione indebita a dare o promettere utilità. 


A completare il novero dei reati perseguibili (anche) con l’agente infiltrato ci sono, poi, gli illeciti di corruzione di incaricato di pubblico servizio, la corruzione attiva comunque sia commessa, l’istigazione alla corruzione attiva e passiva, l’insieme dei reati corruttivi verso i membri della Corte penale internazionale, verso gli organi della Comunità europea e/o i funzionari della Ue e di Stati esteri. Infine, l’indice delle condotte smascherabili dall’infiltrato si allarga al traffico di influenze illecite, alla turbata libertà degli incanti e alla turbata libertà del procedimento di scelta del contraente. 

La specificità dell’ambiente, molto diverso dai reati di criminalità già target della legge 146, ha determinato come corredo un aumento del catalogo delle condotte scriminate. In particolare, l’infiltrato nella Pa non dovrà rispondere – come ovvio – di dazioni di denaro improprie, ma solo se in esecuzione di un accordo illecito già concluso da altri, e andrà esente dall’aver promesso o consegnato denaro o altra utilità richiesti da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio, o dall’aver dato corso a una sollecitazione di pagamento illecita. A proposito dell’«altra utilità» che debutta nella nuova norma, è il derivato necessario dell’ampliamento della possibilità di impiego dell’infiltrato che, fino ad ora, oltre al denaro “prova del reato” andava esente da responsabilità solo quando riceve armi, documenti, e sostanze stupefacenti o psicotrope.


La procedura di impiego dell’undercover agent è snella ma tassativa: serve l’autorizzazione degli organi competenti (in sostanza, la gerarchia interna), in aggiunta alla comunicazione al pubblico ministero competente per le indagini, che a sua volta ha la facoltà di richiedere i nominativi e le specifiche attività del personale impiegato per scardinare il malaffare tra colletti bianchi.

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