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Decreto dignità, nuova dote per la conciliazione

Nella versione iniziale del decreto lavoro l’unica modifica alla disciplina sul contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti era relativa alla variazione in aumento del minimo e del massimo dell’indennità risarcitoria dovuta al lavoratore in caso di licenziamento illegittimo. In sede di conversione in legge è stato approvato un emendamento che contempla anche l’incremento della misura minima e massima dell’importo esentasse, espresso in termini di mensilità, che può essere offerto al licenziato per evitare il contenzioso.
Funzione dell’offerta conciliativa è di rendere meno appetibile al dipendente la prospettiva di impugnare per via giudiziale il licenziamento, inducendolo ad accettare un importo il cui “atout” è dato dal fatto che si tratta di una somma che non costituisce reddito imponibile ai fini irpef e non è assoggettata a contribuzione previdenziale.
Datore e dipendente possono prevedere ulteriori importi a definizione delle reciproche domande e rivendicazioni. Per effetto di questo passaggio normativo, risulterà possibile per le parti siglare un atto di transazione che non sia limitato alla sola offerta conciliativa esente da tasse e da contributi, ma che ricomprenda più ampie rinunce ad ipotizzabili altre rivendicazioni associate al contratto di lavoro. Va da sé che questi importi ulteriori non potranno fruire delle medesime esenzioni fiscali.
Entro il termine di impugnazione stragiudiziale del licenziamento (60 giorni), il datore offra al lavoratore in una sede protetta (sindacato, ispettorato territoriale del lavoro, collegio di conciliazione e arbitrato, commissione di certificazione) un assegno circolare per l’importo previsto dall’articolo 6 del decreto 25/2015 (una mensilità per ogni anno di anzianità, con minimo di tre e massimo di 27). Se il lavoratore accetta l’assegno, il rapporto si estingue alla data del licenziamento e la relativa impugnazione si intende rinunziata.
 
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