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Guadagnare di più non sempre conviene

Il sistema fiscale italiano è meno equo di quanto si creda.
Di fatto non è trasparente né sempre progressivo, cioè risponde in maniera ballerina al principio costituzionale in base al quale chi guadagna di più deve pagare di più in termini percentuali.
Per chi guadagna sotto i 28 mila euro lordi accettare un aumento di stipendio, una collaborazione o uno straordinario è come giocare alla roulette russa: potrebbe essere azzerato per le tasse.
Sopra i 28 mila euro la progressività non esiste più e i redditi più alti fino a 100-200 mila euro sono liberi di crescere senza il rischio di essere “mangiati” dal fisco.
Per capire perché il nostro fisco è poco progressivo e neppure ce ne accorgiamo bisogna fare riferimento alla gabbia delle aliquote ufficiali Irpef. Come molti sanno partono dal 23 per cento per chi guadagna fino a 15 mila euro lordi, passano al 27 per cento fino a 28 mila euro e via via raggiungono il 43 per cento per chi guadagna oltre i 75 mila euro. La maggior parte di noi ragiona sulla base di queste aliquote e sa bene quando, per un motivo o per l’altro, è sottoposto ad un “salto” di aliquota. Questo sistema di aliquote ufficiali – “curva” la chiamano gli economisti – è progressivo: ogni parte di reddito in più viene gravata da una aliquota più alta.
Se si sommano le aliquote nominali (quelle ufficiali che vanno dal 23 al 43 per cento) con le aliquote “implicite” (quelle prodotte dal gioco delle deduzioni e quant’altro) emergono le cosiddette “aliquote marginali effettive” oggetto dello studio della commissione creata da Pietro Grasso.
L’andamento delle aliquote marginali effettive, cioè quello che si paga realmente al fisco, è sorprendente: invece delle cinque aliquote cui siamo abituati nel “mondo reale” ce ne sono solo tre. Lo studio le elenca: la prima pari a zero, cioè la fascia esente fino a circa 10 mila euro; la seconda del 30 per cento fino a 28 mila euro e sopra i 28 mila euro intorno al 42 per cento.
L’altro paradosso avviene con il bonus di 80 euro, che si esaurisce a 26 mila euro di reddito lordo: chi si trova a 24 mila e ottiene una entrata aggiuntiva di 2.000 euro, perde il bonus e paga l’aliquota sull’aumento. Il calcolo è che si arriva ad una aliquota marginale specifica del 48 per cento. Si può arrivare complessivamente ad una aliquota del 100 per cento sull’incremento, che viene in questo modo annullato.
Terzo momento critico, intorno ai 15 mila euro quando si entra nel secondo scaglione Irpef del 27 per cento: qui cominciano a diminuire gliassegni familiari generando una aliquota marginale effettiva anche del 10 per cento. Per ogni 100 euro di aumento di reddito, 10 se ne possono andare per la sola perdita degli assegni familiari.
Forse per evitare paradossi ed errori sarebbe opportuno un intervento di riordino.

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