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Il carattere ingiurioso del licenziamento

L’ingiuriosità del licenziamento non consiste nella contestazione di un fatto lesivo dell’onere e del decoro del lavoratore (essendo tale contestazione dovuta dal datore), bensì nella forma del provvedimento e nella pubblicità eventualmente data ad esso.
Questo non consiste neppure nel mero difetto di giustificazione del licenziamento o nella genericità della relativa contestazione, essendo sempre necessaria la prova che tale licenziamento, per le forme adottate o per altre peculiarità, sia lesivo della dignità e dell’onore del lavoratore, ed atteso altresì che un licenziamento ingiustificato o non motivato (o motivato sulla base di una contestazione generica) è sicuramente illegittimo e come tale produce un danno risarcibile a norma di legge, ma non è, perciò solo, anche ingiurioso.
Certo è che nell’ipotesi in cui la sedicente giusta causa del licenziamento consista nell’asserita commissione di un reato, la verificata insussistenza della stessa da parte del giudice non solo rende illegittimo il licenziamento, ma lo connota ex se come ingiurioso. In questa prospettiva, è irrilevante che il datore intendesse o meno ledere la dignità del lavoratore, essendo sufficiente l’oggettiva lesione della dignità e dell’onore del lavoratore “licenziato” con conseguente diritto al risarcimento del danno, da liquidarsi equitativamente.
Tuttavia, le circostanze che portano a qualificare come ingiurioso il licenziamento, unitamente al lamentato pregiudizio, devono essere rigorosamente provate dal lavoratore, in ossequio al noto brocardo onus probandi incumbit ei qui dicit.

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