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Mini-Ires, costo del lavoro ridotto quando si aumenta l’occupazione

La mini-Ires abbatte fino a 9 punti la fiscalità delle retribuzioni, ma solo per chi incrementa in modo stabile l’occupazione in strutture italiane e fa crescere il costo complessivo del lavoro. 

Le difficoltà nel pianificare il ritorno fiscale della riduzione di aliquota derivante dalla variabile investimenti inducono le imprese a testare l’impatto derivante dall’altro parametro in gioco, il costo incrementale del personale dipendente. Anche in questo caso, però, calcoli complessi e soggetti a molte incognite. 

La riduzione di 9 punti dell’aliquota sul reddito di impresa, prevista dalla legge di Bilancio 2019, si applica su un importo pari al minore tra due elementi: l’utile destinato a riserve diverse da quelle non disponibili e la sommatoria tra investimenti e costo del personale assunto dal 1° ottobre 2018. Nella pianificazione fiscale, le imprese, dato generalmente per capiente l’importo degli utili accantonati, si concentrano sul calcolo dei parametri che costituiscono il secondo elemento, cercando di stimare quanto sarà il ritorno derivante dai nuovi investimenti e/o dalle assunzioni. Per gli investimenti Industria 4.0, viste le difficoltà calcolare le ricadute sulla mini-Ires, il driver è ancora principalmente affidato all’iperammortamento, agevolazione comunque cumulabile con la mini-Ires. La variabile «personale dipendente» consente di ottenere uno sconto fiscale del 9% sul costo del lavoro, ma nel calcolo entrano in gioco diversi elementi che rendono incerto il risultato finale. Lo sconto del 9%, dunque, finisce spesso solo per essere teorico, in quanto ridotto da altre variabili. 


Innanzitutto, vanno verificate, in ogni esercizio (2019 e successivi), due condizioni propedeutiche. Sono da considerare solo i dipendenti (a tempo indeterminato o determinato) assunti dal 1° ottobre 2018 che sono destinati, per la maggior parte del periodo di imposta, a strutture produttive situate in Italia (“personale neoassunto”). Il termine strutture “produttive” non deve ingannare: l’agevolazione non riguarda solo le imprese industriali, ma in genere i titolari di reddito di impresa (compresi gli enti non societari per le attività commerciali esercitate). 

Occorre poi che il numero medio dei dipendenti superi, nell’esercizio, quello esistente al 30 settembre 2018, tenendo conto, nel calcolo, di eventuali diminuzioni avvenute in società controllate o collegate (articolo 2359 del Codice civile) o facenti capo, anche per interposta persona al medesimo soggetto (società controllate dallo stesso soggetto che controlla l’impresa). 


Verificate le due condizioni, l’importo agevolabile nel singolo esercizio è pari al minore tra il costo del personale neoassunto e la differenza tra costo del personale complessivo iscritto nelle voci B9 e B14 del conto economico dell’anno e corrispondente costo esposto nel bilancio del 2018. 


Il costo del personale neoassunto comprende ogni elemento che lo costituisce e dunque retribuzioni, contributi, premi assicurativi, quota Tfr. L’incremento del costo complessivo del personale, che costituisce il tetto massimo all’importo agevolabile, si calcola includendo anche l’importo sostenuto per i dipendenti assunti prima dell’ottobre 2018, ma limitandosi a quelli impiegati in strutture italiane. Qualora quest’ultima variabile sia inferiore, o addirittura pari a zero, perché i neo-assunti, pur superando in numero i dimessi o i pensionati, hanno un costo pro capite inferiore, il beneficio scende sotto al 9% del costo dei nuovi dipendenti fino eventualmente ad azzerarsi, spiazzando ogni preventivazione.

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