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Modelli 231, tutela dei migranti

Il catalogo dei reati presupposto della responsabilità degli enti basata sul Dlgs 231/2001 è stato recentemente arricchito tramite la legge 161/2017, di modifica al Codice antimafia (Dlgs 159/2011), e la legge Europea 2017 (167/2017).
In particolare, la legge 161 ha introdotto tre commi nell’articolo 25-duodecies del decreto 231, che prevede quale reato presupposto l’impiego di cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno è irregolare, estendendo la responsabilità dell’ente anche ai delitti di cui all’articolo 12, comma 3 (con le aggravanti dei commi 3-bis e 3-ter) e comma 5, del Dlgs 286/1998 (Testo unico immigrazione).
Più nel dettaglio, l’ente può ora rispondere anche per le condotte di promozione, direzione, organizzazione, finanziamento o trasporto di stranieri nel territorio dello Stato, nonché per il compimento di altri atti diretti a procurarne illegalmente l’ingresso in Italia o nel territorio di altro stato.
Ipotesi punite al ricorrere delle condizioni indicate, tra cui l’esposizione della persona trasportata a pericolo per la sua vita o incolumità. D’altro canto, la responsabilità dell’ente è sancita anche per le ipotesi di favoreggiamento della permanenza illegale dello straniero in Italia per trarre, dalla sua condizione d’illegalità, un ingiusto profitto.
Con la legge 167, il legislatore ha successivamente introdotto nel decreto 231 il nuovo articolo 25-terdecies, rubricato «Razzismo e xenofobia», a norma del quale l’ente risponde di alcuni dei delitti di cui all’articolo 3 della legge 654/1975. Questa disposizione sanziona, tra l’altro, la propaganda di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, l’istigazione a commettere atti di discriminazione, violenza o provocazione alla violenza, per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, nonché la partecipazione, promozione o direzione di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi aventi tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per i medesimi motivi.
L’ente potrà essere chiamato a rispondere di tali ipotesi delittuose soltanto qualora la propaganda, l’istigazione o l’incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, siano fondati, in tutto o in parte, sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull’apologia della Shoah, dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra.
Intervento ancor più significativo riguarda l’introduzione, tra i reati presupposto, del delitto di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro (articolo 603-bis del Codice penale), meglio noto come caporalato, tramite la legge 199/2016. Ai sensi dell’articolo 25-quinquies del decreto 231, l’ente nel cui interesse o vantaggio sia stato commesso il delitto di caporalato è oggi soggetto a pesanti sanzioni, tra le quali si annovera, per i casi più gravi, l’interdizione definitiva dall’attività.
Per beneficiare dell’esenzione di responsabilità di cui all’articolo 6 del decreto, pertanto, l’ente deve ora dotarsi di un modello organizzativo che garantisca, tra le altre cose, la retribuzione dei dipendenti in conformità ai contratti nazionali e territoriali, il rispetto della normativa sull’orario di lavoro, il periodo di riposo e le ferie, l’applicazione delle norme in materia di sicurezza e igiene nei luoghi di lavoro, nonchè condizioni di lavoro, metodi di sorveglianza e situazioni alloggiative non degradanti.
Si segnala, peraltro, che la legge 199 ha allargato notevolmente le maglie della fattispecie di cui all’articolo 603-bis. In particolare, estendendola alle condotte di mero utilizzo, impiego e assunzione di lavoratori in condizioni di sfruttamento, anche da parte di soggetti singoli o privi di organizzazione. Con conseguente rischio di applicazione del reato ad ipotesi marginali o scarsamente offensive, nonché ad imprese o realtà di per sé estranee al fenomeno del caporalato.

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