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Prestazioni gratis nel mirino del Fisco

L’elevato numero di prestazioni gratuite rese nei confronti di terzi clienti e la relativa giustificazione addotta dal professionista di «rinuncia al compenso» sono elementi idonei a far ritenere inattendibile la contabilità e, conseguentemente, a consentire di procedere con l’accertamento induttivo ai sensi dell’articolo 39, comma 2, del Dpr 600/73.
Sono queste le principali conclusioni cui è giunta la Corte di cassazione pronunciandosi sulla legittimità di accertamenti che, negli ultimi tempi, sono sempre più frequenti e stringenti anche nei confronti di quei professionisti che dichiarano, comunque, compensi congrui e coerenti agli studi di settore.
Sempre più spesso, il Fisco pone l’attenzione sullo scostamento tra le prestazioni di servizio rese che risultano in anagrafe tributaria in un determinato periodo di imposta e le corrispondenti fatture emesse per tali servizi.
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Ad avviso dei giudici supremi, infatti, il ridotto numero delle fatture emesse e l’esiguità degli importi fatturati a titolo di compenso, a fronte delle numerose prestazioni di servizio professionale rese, confliggono con le più elementari regole di ragionevolezza.
Pertanto, in un simile scenario, le eventuali dichiarazioni rese da alcuni clienti del professionista in merito alla presunta gratuità della prestazione o alla rinuncia al compenso non sono idonee a superare le presunzioni di evasione addotte dall’ufficio, in quanto prive di intrinseca credibilità.

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