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Requisiti per i trasfertisti

La legge si allinea alle indicazioni dell’Inps e dettaglia i requisiti per identificare i lavoratori “trasfertisti”.
Il ministero delle Finanze, già nella circolare 326/97, ha distinto le trasferte dal trasfertismo. Si ricade nel primo caso quando il lavoratore dipendente presta la propria attività lavorativa fuori dalla sede di lavoro, che è il luogo stabilito dal datore di lavoro e indicato nella lettera o nel contratto di assunzione.
I trasfertisti invece sono quei lavoratori tenuti per contratto a svolgere l’attività lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi, ai quali – in funzione delle modalità di esecuzione dell’attività – vengono corrisposte delle somme di denaro in modo continuativo e non in relazione a una specifica “trasferta”. L’indennità o maggiorazione di retribuzione che viene attribuita a questi lavoratori è infatti dovuta per contratto per tutti i giorni retribuiti, a prescindere dal fatto che il dipendente sia andato in trasferta. Il ministero del Lavoro, con la nota 25/I/8287 del 20 giugno 2008, ha aggiunto che «il lavoratore debba considerarsi trasfertista ove il contratto non preveda una sede di lavoro predeterminata».
L’Inps, con il messaggio 27271 del 5 dicembre 2008, ha messo a sistema gli elementi citati, chiarendo che, per parlare di trasfertismo, occorre che siano presenti contemporaneamente tre requisiti: il requisito formale della mancata indicazione nel contratto o nella lettera di assunzione della sede di lavoro; il requisito sostanziale dello svolgimento di un’attività che richieda la continua mobilità del dipendente (lo spostamento costituisce quindi contenuto ordinario della prestazione di lavoro); e il requisito retributivo basato sull’erogazione di un’indennità o maggiorazione in misura fissa senza distinguere se il dipendente si è effettivamente recato in trasferta e dove si è svolta la trasferta.
Di diverso parere la giurisprudenza, per cui non sarebbero determinanti né l’indicazione della sede di lavoro nel contratto o nella lettera di assunzione, né la continuatività delle erogazioni per individuare i trasfertisti, a patto che sia dimostrata la continua mobilità del lavoratore.
L’articolo 7-quinquies del decreto fiscale conferma ora la prassi Inps: perché i lavoratori siano considerati trasfertisti occorre che siano presenti contemporaneamente le tre condizioni indicate che – a scanso di equivoci – sono state quasi integralmente trasfuse nella legge.
Da un punto di vista fiscale – diversamente dal trattamento delle trasferte, previsto dall’articolo 51, comma 5, del Tuir, che varia a seconda se siano svolte all’interno o all’esterno del territorio del Comune in cui il dipendente ha la sede di lavoro – le indennità o le maggiorazioni di retribuzione erogate per il trasfertismo concorrono a formare il reddito nella misura del 50% del loro ammontare e, per lo stesso importo ridotto, a determinare la base imponibile contributiva.
Ai trasfertisti non si dovrebbe applicare la disciplina delle trasferte prevista dal comma 5; ma ciò è consentito se, per uno o più specifici incarichi, ricorrono le condizioni indicate dallo stesso comma 5: il legislatore non ha espressamente escluso questa possibilità come, invece, ha fatto per le indennità di trasferimento.

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