fbpx
TORNA ALLE NEWS

Rimborso dei prestiti ai soci, in coda rispetto agli altri crediti

L’articolo 2467 del Codice civile prevede che «il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori e, se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve essere restituito».

Ai fini di questa norma rilevano i finanziamenti da soci «in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento». 

Si intende, quindi, penalizzare il socio che ha scelto di finanziare la società quando avrebbe dovuto patrimonializzarla, creando così un legame con le somme erogate più facilmente scindibile in caso di avvisaglie di dissesto. 

Il divieto di restituzione opera già nel corso dell’ordinaria attività d’impresa e non solo in sede di concorso tra creditori. Tuttavia, è evidente che occorre ragionare caso per caso, essendo «l’eccessivo squilibrio» finanziario e la «ragionevolezza» del conferimento in luogo del prestito due concetti da valutare nel concreto. 

La giurisprudenza, ad ogni modo, pare applicare al caso di specie le stesse conclusioni a cui si giungerebbe in caso di restituzione di versamenti in conto capitale e anche delle risorse ottenute a fronte dell’emissione di obbligazioni.

La norma è dettata espressamente per le Srl, ed è richiamata in caso di prestiti provenienti dalla società che esercita la «direzione e coordinamento» o dagli altri soggetti ad essa sottoposti. Il dato letterale non va, tuttavia, inteso in senso limitativo: secondo la giurisprudenza la norma si applica anche alle Spa che esercitano «imprese di modeste dimensioni e con compagini sociali familiari o comunque ristrette (chiuse)». 

La giurisprudenza sembra accogliere tesi assai estensive anche con riferimento alla genesi del debito nei confronti del socio, qualificando nell’ambito della fattispecie prevista dalla norma anche crediti dei soci per prestazioni professionali, dilazioni di pagamento, pagamenti di creditori sociali e prestazioni di garanzie. 

Le conseguenze della violazione di questo precetto normativo possono essere molto gravi, essendo configurabile per gli amministratori – in particolare laddove essi coincidano con i soci beneficiari della restituzione – il reato di bancarotta patrimoniale per distrazione, con il concorso per i sindaci che non hanno impedito tale condotta. Vi deve essere una attenta verifica da parte del Collegio sindacale, finalizzata a scongiurare il rischio che, attraverso la restituzione, vengano lese le ragioni dei creditori mediante una indebita riduzione del patrimonio sociale. 

Inoltre, occorre verificare che il tutto avvenga nel rispetto, oltre che dei precetti statutari, delle disposizioni creditizie che regolano questo tipo di raccolta del risparmio. Ai fini probatori, incombe sulla società convenuta dai soci per la restituzione del finanziamento eccepire e dimostrare nell’ambito del giudizio la ricorrenza delle condizioni previste dal legislatore per la postergazione, non essendo sufficiente dimostrare che l’attività si è svolta per alcuni periodi in perdita.

Spesso i finanziamenti dei soci sono oggetto di verifiche ed atti di accertamento. In base all’articolo 46 Tuir, i versamenti dei soci si considerano somme erogate a titolo di mutuo se dai bilanci non risulta che il versamento è stato fatto ad altro titolo. Qui, pertanto, l’onere probatorio viene assolto con i bilanci (comprese le note integrative). L’articolo 45, comma 2, Tuir, invece, prevede una serie di presunzioni riguardanti gli interessi, i quali (salvo prova contraria) si presumono percepiti alle scadenze e nella misura pattuita per iscritto, ovvero in quella maturata nel periodo d’imposta se non è stabilita una diversa scadenza contrattuale. Se la misura degli interessi non è determinata per iscritto, essi si computano al saggio legale. In realtà, la mancata indicazione in bilancio di una diversa motivazione attribuisce semplicemente la natura di finanziamento all’apporto del socio, mentre per dimostrare la non onerosità del mutuo sono possibili tutti i mezzi di prova consentiti dal Codice civile, e quindi anche una scrittura privata, purché con data certa. 

Se il socio rinuncia agli interessi, per l’agenzia delle Entrate scatta il principio del cosiddetto “incasso giuridico”. 

Diversi problemi nascono infine dall’imposta di registro. 

La Cassazione ritiene tassabile (per “enunciazione”) con l’imposta proporzionale del 3% il finanziamento soci menzionato nella delibera assembleare con la quale i soci vi rinunciano al fine di azzerare e ricostituire il capitale sociale aggredito dalle perdite, orientamento assai discusso in dottrina e dalla giurisprudenza di merito. Anche la mera delibera di approvazione del finanziamento sarebbe soggetta all’imposta proporzionale ove contenesse la sottoscrizione dei soci finanziatori. Se il documento contiene la volontà di un solo contraente, l’accordo si considera formato mediante corrispondenza, e quindi soggetto a registrazione solo «in caso d’uso», anche se lo scambio delle lettere avviene a mano e non per posta. 


Sei interessato all’articolo? Scrivici e verrai contattato da un nostro Consultant

@ Beneggi e Associati | Commercialisti al servizio delle imprese | Meda | Milano

condividi.