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Unioni civili e gestione artigiani e commercianti, sì all'obbligo assicurativo

Continua il percorso operativo dell’INPS nel dettare istruzioni in riferimento ai mutamenti previdenziali e assicurativi che la legge sulle unioni civili e delle convivenze, n. 76 del 20/5/2016, ha inevitabilmente comportato in relazione a tutto ciò che concerne il coinvolgimento del “coniuge” nella situazione individuale del soggetto assicurato, sia per gli aspetti che interessano il lavoro subordinato sia per quelli del lavoro autonomo; si preoccupa inoltre di evidenziare le assimilazioni o esclusioni in tali ambiti per i conviventi di fatto. Dopo la circolare n. 38 del 27/2/2017 riguardante l’implicazione della recente normativa in merito alla richiesta dei permessi finalizzati all’assistenza dei familiari con grave disabilità (si veda G.L. n 11 del 10/3/2017), con la circolare in esame l’Istituto affronta la problematica degli esercenti attività commerciale ed artigiana in materia di obbligo assicurativo dei familiari coadiuvanti, ed in particolare del coniuge. Le unioni civili tra persone dello stesso sesso rientrano nella definizione contenuta nell’articolo 2 della Costituzione che garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità. Come oramai è conclamato, l’articolo 1 della legge sulle unioni civili, al comma 1 dispone che «d ue persone maggiorenni dello stesso sesso costituiscono un’unione civile mediante dichiarazione di fronte all’ufficiale di stato civile ed alla presenza di due testimoni»; il comma 20, altresì, ha suggellato l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile statuendo che le disposizioni riferite al matrimonio, ovunque ricorra la parola “coniuge” (leggi, atti aventi forza di legge, regolamenti, atti amministrativi, contratti collettivi), si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso. Alla luce di tale affermazione, nell’ambito dell’individuazione dell’obbligo contributivo nelle gestioni autonome, risulta assicurabile anche la parte di un’unione civile che partecipa all’attività lavorativa in qualità di collaboratore del titolare d’impresa o, se l’impresa assume forma societaria, di uno dei titolari. Partendo dal presupposto che la legge n. 463 del 4 luglio 1959 ha esteso l’assicurazione obbligatoria per la invalidità, la vecchiaia ed i superstiti agli artigiani ed ai loro familiari, e la stessa cosa è accaduta in riferimento agli esercenti attività commerciale a seguito di quanto stabilito dalla legge n. 613 del 22 luglio 1966 in riferimento ai familiari coadiutori che partecipano al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza, occorre considerare oggetto della stessa tutela un soggetto parte di una un’unione civile. Di conseguenza, ovunque si legga “coniuge”, alla luce della recente normativa, deve intendersi ricompreso anche colui che fa parte di una unione civile, il quale dovrà essere indicato nella dichiarazione di inizio o variazione attività c.d. “ComUnica”, valevole quale assolvimento di tutti gli adempimenti amministrativi previsti per l’iscrizione al registro delle imprese ai fini fiscali e all’estensione delle tutele previdenziali ed assistenziali in vigore per gli esercenti attività autonoma, nella sezione riservata al coniuge. La situazione dello stato civile deve essere comprovata da una dichiarazione sostitutiva della dichiarazione attestante la costituzione dell’unione che deve contenere i dati anagrafici delle parti, l’indicazione del loro regime patrimoniale e della loro residenza, oltre ai dati anagrafici e alla residenza dei testimoni (art. 1, comma 9 della legge n. 76/2016); nei documenti in cui è prevista l’indicazione dello stato civile, per le parti dell’unione civile sono riportate, a richiesta degli interessati, le seguenti formule: «unito civilmente» o «unita civilmente» (art. 7 del DPCM n. 144/2016).
In relazione al regime patrimoniale applicabile alle unioni civili il comma 13 della legge n. 76/2016 stabilisce che tra persone dello stesso sesso, in mancanza di diversa convenzione patrimoniale, è costituito dalla comunione dei beni. L’equiparazione del coniuge alle parti di una unione civile implica dunque conseguenze anche ai fini di un’impresa familiare che si configura quando all’attività collaborano in modo continuativo il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo grado dell’imprenditore qualora non esista un diverso tipo di rapporto lavorativo; alla luce di quanto normato, tra i familiari ivi tutelati rientra il coniuge. Si rammenta che L’articolo 230bis del c.c. statuisce che «il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato». Da tutti ciò ne derivano i relativi diritti di natura previdenziale e fiscale del coniuge, inteso naturalmente anche come parte di un’unione civile.
Diversamente è regolato il rapporto assistenziale e previdenziale in caso di convivenza di fatto. Per “conviventi di fatto” si intendono due persone maggiorenni, di ambo i sessi, unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile (commi 36 e 37 art. 1, legge n. 76/2016). Per l’accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica di cui all’articolo 4 e alla lettera b) del comma 1 dell’articolo 13 del regolamento di cui al DPR n. 223/1989. Il convivente di fatto non riveste lo status di parente o affine entro il terzo grado rispetto al titolare d’impresa e non è dunque ricompreso tra i collaboratori indicati quali familiari previsti dalle leggi istitutive delle gestioni autonome dei commercianti e degli artigiani. Sebbene la legge sulle unioni civili abbia riservato al convivente di fatto alcune tutele quali quelle in materia penitenziaria, sanitaria, abitativa, lo stesso non vanta i medesimi diritti e obblighi assicurativi già previsti per la parte di una unione civile che collabora con il titolare; al convivente di fatto, qualora presti la sua attività in tale ambito, saranno dunque riservati i trattamenti previsti per altre tipologie di rapporto lavorativo.
Tra l’altro, non solo il convivente di fatto non è stato inserito tra i familiari a modifica del preesistente articolo 230bis, ma il comma 46 della legge in esame ha voluto differentemente disciplinarne i diritti nel caso presti attività in un’impresa familiare, inserendo l’art. 230ter al codice civile che così recita: «al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato».
L’Istituto di previdenza, in conclusione, ritenendo che l’attribuzione di utili d’impresa al convivente di fatto ai sensi del nuovo articolo del codice civile, sia da ritenere estranea all’insorgenza dell’obbligo contributivo del convivente alle gestioni autonome dei commercianti e degli artigiani in assenza dei requisiti soggettivi (parentela o affinità), si riserva di tornare sull’argomento dopo che l’Autorità Finanziaria avrà fornito le indicazioni utili al fine di regolamentare gli aspetti fiscali di tale novità che coinvolge molteplici aspetti e non solo di carattere previdenziale.

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