Licenziamenti per gmo e collettivi: divieto fino al 31 gennaio 2021

 

Dal 29 ottobre 2020 è in vigore il nuovo divieto di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e per quelli collettivi fino al 31 gennaio 2021; è già stata annunciata la possibile prorpoga del divieto al 31 marzo 2021.

 

Il Governo, con il DL n. 137/2020 (cd. Decreto Ristori) non solo prevede la possibilità di fruizione di cassa integrazione per sei settimane nel periodo dal 16 novembre 2020 al 31 gennaio 2021, ma fino a tale ultima data il divieto di procedere al licenziamento, con contestuale sospensione di procedure già in atto di mobilità ex lege  n. 223/1991 e di quelle previste innanzi all’Ispettorato del Lavoro ai sensi dell’art. 7 della legge n. 604/1966. Tale nuova disposizione di fatto abroga, tacitamente e dal 29 ottobre 2020, le disposizioni analoghe contenute nell’art. 14 del Decreto di Agosto. Pertanto, ancorchè siano state consumate tutte le settimane di cassa integrazione messe a disposizione dal Decreto di Agosto ovvero l’impresa abbia già goduto dei benefici contributivi garantiti dallo stesso Decreto, dal 29 ottobre 2020 fino al 31 gennaio 2021 le intimazioni di licenziamento non sono possibili. D’ora in avanti, le regole di riferimento su possibilità di effettuare licenziamenti o meno per ragioni organizzative saranno solo quelle dell’art. 12 del Decreto Ristori, salvo disposizioni successive. Il Legislatore emergenziale prevede ai commi 9 e 10 dell’art. 12 del Decreto Ristori che «(…) Fino al 31 gennaio 2021 resta precluso l’avvio  delle  procedure di cui agli art. 4,5 24 della legge 23 luglio 1991 n. 223 e restano   altresì   sospese   le    procedure    pendenti    avviate successivamente alla data  del  23  febbraio  2020,  fatte  salve  le ipotesi in cui il personale interessato dal recesso,  già  impiegato nell’appalto,  sia  riassunto  a  seguito  di   subentro   di   nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo  nazionale  di lavoro, o di clausola del contratto di appalto. Fino alla stessa data (….),  resta,  altresì, preclusa al  datore  di  lavoro,  indipendentemente  dal  numero  dei dipendenti, la facoltà di recedere dal  contratto  per  giustificato motivo oggettivo ai sensi dell’articolo 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e restano altresì sospese  le  procedure  in  corso  di  cui all’ articolo 7 della medesima legge».

 

Come era stato di fatto già previsto con l’art. 46 del Decreto Cura Italia, per le procedure di licenziamento collettivo la data di discrimine diventa il 23 febbraio 2020. Le procedure avviate prima del 23 febbbraio 2020 possono essere completate, quelle dopo sono sospese. Dal 29 ottobre 2020 è, invece, addirittura vietato avviare le procedure disciplinate dalla legge n. 223/1991. Analogamente, i tentativi di conciliazione dei licenziamenti regolati dalla legge Fornero, avviati prima del 29 ottobre 2020, sono sospesi. Dal 29 ottobre 2020 è invece inibito procedere a licenziamenti per motivi oggettivi. L’ampia preclusione lascia intendere che nell’ambito dei licenziamenti vietati per gmo possono ricadere anche quelli che si intende intimare per impossibilità sopravvenuta della prestazione, essendo anche questa una fattispecie, che, secondo la giurisprudenza costante, sarebbe regolata dall’art. 3 della Legge n. 604/1996. L’Ispettorato Nazionale del Lavoro con nota n. 298 del 24 giugno 2020 si era già espresso positivamente per ritenere incluso nel divieto i licenziamenti per impossibilità sopravvenuta, ancorchè la correlazione con il Covid-19 possa essere inesistente (pensiamo ad esempio ad un infortunio che non consente all’impresa di ricollocare il dipendente in mansioni inferiori).

 

Resterebbero quindi ammessi licenziamenti disciplinari, licenziamenti per mancato superamento del periodo di prova, licenziamento dirigenti (ma con l’attenzione a non ricadere in un licenziamento collettivo ovvero in disposizioni del CCNL che possono richiamare espressamente l’art. 3 della Legge n. 604/1996), licenziamenti per superamento del periodo di comporto. L’art. 12 del Decreto Ristori esclude comunque espressamente le seguenti ipotesi di licenziamento, ricalcando quanto già previsto dal Decreto Agosto:

  • licenziamenti  motivati  dalla  cessazione definitiva dell’attività dell’impresa,  conseguenti  alla  messa  in liquidazione della  società  senza  continuazione,  anche  parziale, dell’attività, nei casi in cui nel corso della liquidazione sempre non si configurino ipotesi di cessione di ramo o di azienda ai sensi dell’ 2112 c.c;
  • ipotesi  di accordo  collettivo   aziendale,   stipulato   dalle   organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello  nazionale, con previsione di incentivo alla risoluzione del rapporto di  lavoro,  limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo, con possibilità di accesso alla NASPI, in linea con quanto già aveva previsto l’INPS con circolare del 29 settembre 2020, n. 111;
  • licenziamenti intimati in caso di  fallimento, quando  non sia previsto l’esercizio  provvisorio dell’impresa,  ovvero  ne  sia disposta la cessazione.
    Nel caso in cui l’esercizio  provvisorio  sia disposto per  uno  specifico  ramo  dell’azienda,  sono  esclusi  dal divieto i licenziamenti riguardanti  i  settori  non  compresi  nello stesso.

 

Cassa e licenziamenti non vanno di pari passo: L’articolo 12 del Decreto Ristori regola il divieto di licenziamento per gmo dopo aver disposto nei primi due commi ulteriori accessi alla cassa integrazione per Covid-19 per 6 settimane. Tuttavia, diversamente da quanto accadeva nel Decreto di Agosto, anche la completa fruizione della cassa per sei settimane, collocate dal 16 novembre 2020 al 31 gennaio 2021, non consente all’impresa di licenziare. Il divieto di licenziamento si pone certamente come una conseguenza della scelta legislativa di prorogare il ricorso agli ammortizzatori sociali, ma non è strettamente correlato alla fruizione della cassa stessa. Tale divieto, quindi, rischia di colpire anche imprese che operano in mercati o in settori non toccati dalla pandemia o per ragioni organizzative totalmente avulse dall’emergenza Covid-19. Infatti la cassa integrazione concessa per compensare il divieto di licenziamento è pur sempre accordata per eventi riconducibili all’emergenza, come recita testualmente l’art. 12, comma 1, del DL n. 137/2020. Ancorchè l’INPS abbia rassicurato istruttorie veloci sulle domande di cassa, la sospensione del lavoratore e la compressione del suo diritto retributivo devono essere motivati da cause che si ricollegano all’emergenza. Pertanto le riorganizzazioni non riconducibili all’emergenza Covid dovranno essere gestite con gli ordinari ammortizzatori sociali fino al 31 gennaio 2021. Peraltro è evidente che le sei settimane accordate dal Decreto Ristori non sono sufficienti a coprire l’intero periodo fino al 31 gennaio 2021. Tali  6 settimane si aggiungono alle ulteriori 9 settimane (aggiuntive, a loro volta, delle prime 9, come previsto dal Decreto di Agosto) solo se, prima del 29 ottobre 2020, siano state già autorizzate tali ulteriori 9 settimane e decorso tale ultimo periodo. In ipotesi in cui le ulteriori 9 settimane del Decreto di Agosto non siano state ancora autorizzate, né tanto meno richieste, fino al 15 novembre 2020 l’impresa potrà ancora ricorrere a quanto residua delle 18 settimane accordate dal Decreto di Agosto e dal 16 novembre 2020 potrà fruire solo delle 6 settimane concesse dal Decreto Ristori. Ragionevolmente, allo stato, sembra che il Governo abbia previsto una copertura degli ammortizzatori fino a fine anno 2020, riservandosi poi di estendere ancora la cassa integrazione emergenziale, anche in caso di ulteriore proroga del divieto di licenziamento fino al 31 marzo 2021.

 

Quale sorte per i licenziamenti per gmo illegittimi? Il tema dei licenziamenti per gmo comminati in violazione delle ipotesi vietate apre due fronti: il primo sanzionatorio, il secondo della rinunciabilità da parte del lavoratore. A nostro avviso, aderendo all’opinione di altri autori, il licenziamento, che ricade in fattispecie vietate sulla base di previsioni legislative come quelle dell’art. 12 del Decreto Ristori, sia affetto da nullità, con conseguente diritto al ripristino del rapporto di lavoro e risarcimento del danno, a prescindere dalla base dimensionale del datore di lavoro. Tuttavia, come ha ricordato la recente sentenza della Corte di Cassazione Sezione Lavoro n. 8 del 2 gennaio 2020, la nullità del licenziamento «non è rilevabile d’ufficio, ma la disciplina della invalidità del licenziamento è caratterizzata da specialità, rispetto a quella generale della invalidità negoziale, desumibile dalla previsione di un termine di decadenza per impugnarlo e di termini perentori per il promovimento della successiva azione di impugnativa (…), non essendo equiparabile all’azione con la quale si fanno valere diritti autodeterminati; ne consegue che il giudice non può rilevare di ufficio una ragione di nullità del licenziamento diversa da quella eccepita dalla parte»(1). Si tratta quindi di nullità di protezione, azionabile solo dal lavoratore e non anche da chiunque vi ha interesse (con buona pace di suggestive ricostruzioni di enti previdenziali pronti a intervenire su licenziamenti per gmo eventulmente comminati nel corso di quest’anno). Deve anche ribadirsi che se è necessaria una impugnazione, questa impugnazione potrebbe essere rinunciata dal dipendente. La Cassazione, con la sentenza n. 22105/2009, aveva sottolineato che «il lavoratore può liberamente disporre del diritto di impugnare il licenziamento, facendone oggetto di rinunce o transazioni, che sono sottratte alla disciplina dell’articolo 2113 c.c.che considera invalidi e perciò impugnabili i soli atti abdicativi di diritti del prestatore di lavoro derivanti da prestazioni inderogabili di legge o dei contratti collettivi o accordi collettivi», rientrando, infatti, l’interesse del lavoratore alla prosecuzione del rapporto di lavoro nell’area della libera disponibilità di cui il lavoratore dispone dall’ammissibilità di risoluzioni consensuali del contratto di lavoro e dalla possibilità di consolidamento degli effetti del licenziamento illegittimo per mancanza di una tempestiva impugnazione. A tale riguardo, peraltro, si ricorda che per i lavoratori a cui è applicabile la disciplina del Jobs Act il Legislatore nulla ha detto sulla sospensione della disciplina dell’offerta di conciliazione di cui all’art. 6 del D.lgs. n. 23/2015.  Il Legislatore ha solo disposto, laddove ci siano ipotesi vietate, la sospensione delle procedure avviate prima del 29 ottobre 2020 o inibizione delle stesse da avviarsi dopo tale data per i licenziamenti che seguono il Rito Fornero, facendo espressa menzione dell’art. 7 della Legge n. 604/1966. Pertanto la procedura di offerta di conciliazione deve ritenersi ancora efficace per i licenziamenti per gmo intimati a quei lavoratori assunti dopo il 23 marzo 2015. Per quelli assunti prima, il lavoratore può rinunciare a quelle garanzie di cui all’articolo 7 della predetta legge con apposito verbale di conciliazione che potrebbe essere sottoscritto anche in sede sindacale.

 

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