Reverse charge interno: obbligo di stampa e annotazione in caso di integrazione manuale

Nel regime di reverse charge interno, la gestione della fattura ricevuta richiede particolare attenzione, soprattutto in merito alle modalità di integrazione dell’IVA da parte del cessionario o committente. È infatti possibile scegliere tra due opzioni operative, ma ognuna comporta obblighi precisi in termini di conservazione, annotazione e formalità.

Il riferimento normativo è l’articolo 17, commi 5 e 6, del Dpr 633/1972. Nello specifico, il comma 6, lettera a-ter, disciplina l’inversione contabile per le prestazioni di manutenzione (ad esempio per impianti termici), applicando il meccanismo del reverse charge. In questi casi, l’IVA non viene addebitata dal prestatore, ma assolta dal destinatario, che è tenuto ad integrarla.

Due opzioni per l’integrazione dell’IVA

Secondo quanto ribadito dalla guida dell’Agenzia delle Entrate alla fatturazione elettronica (versione 1.9 del 5 marzo 2024), il soggetto passivo che riceve la fattura senza IVA può scegliere:

  • a) Integrazione manuale: annotare direttamente sulla fattura ricevuta l’aliquota applicabile e l’imposta dovuta, conservando il documento in formato cartaceo, secondo quanto previsto dalla circolare 26/E/2022.

  • b) Emissione di autofattura elettronica (TD16): generare e trasmettere tramite SdI un documento con codice tipo TD16. Questa via consente di sfruttare i registri IVA precompilati messi a disposizione dall’Agenzia.

Obblighi specifici in caso di integrazione manuale

Nel caso in cui si scelga la modalità manuale, resta l’obbligo di:

  • stampare la fattura ricevuta (anche se in formato elettronico);

  • annotare a penna o stampare su carta gli elementi integrati (aliquota e imposta) direttamente sul documento;

  • registrare la fattura nel registro vendite, indicando l’importo dell’imposta integrata.

Anche se i dati integrati sono già riportati nei registri IVA (elettronici o meno), la stampa con l’annotazione rimane un passaggio obbligatorio. Tale adempimento garantisce la tracciabilità dell’integrazione e la sua conservazione secondo le modalità previste per i documenti analogici.

Questo obbligo deriva dal fatto che, in assenza di un documento elettronico TD16 trasmesso tramite SdI, l’integrazione dell’IVA deve risultare in modo inequivocabile e duraturo. L’alternativa prevista dalla circolare 13/E del 2018 consente, in luogo dell’annotazione sul documento originale, di produrre un allegato contenente i dati dell’integrazione da conservare con la fattura originaria.

Quando conviene scegliere il TD16

Sebbene la modalità manuale possa apparire più semplice, soprattutto per chi non dispone di strumenti elettronici evoluti, la predisposizione di un documento TD16 offre alcuni vantaggi:

  • semplifica la conservazione;

  • consente l’automazione nei sistemi contabili;

  • alimenta i registri IVA precompilati, riducendo il rischio di omissioni o errori;

  • rende più efficiente la gestione documentale, soprattutto in ambiti con elevata frequenza di reverse charge.

L’utilizzo del documento TD16 è quindi consigliabile in contesti strutturati o quando si fa largo uso della fatturazione elettronica.

Conclusioni

L’integrazione dell’IVA in reverse charge, anche se effettuata manualmente, resta un’operazione da svolgere con attenzione formale e sostanziale. Le imprese devono adottare una procedura interna coerente e aggiornata, scegliendo con consapevolezza il metodo più adatto tra integrazione manuale e autofattura elettronica TD16. In ogni caso, è fondamentale assicurarsi che ogni adempimento rispetti le indicazioni dell’Agenzia delle Entrate, evitando irregolarità che potrebbero generare contestazioni in sede di verifica.

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