Il distacco di lavoratori italiani presso branch estere rappresenta una delle casistiche più complesse nella fiscalità internazionale. Il principio generale sancito dalle Convenzioni OCSE prevede che i redditi da lavoro siano tassati nello Stato di residenza. Tuttavia, tale regola subisce una deroga se l’attività lavorativa è svolta fisicamente in altro Stato: in questo caso, si applica la tassazione concorrente.
La deroga dei 183 giorni prevista dall’articolo 15 del Modello OCSE consente la tassazione esclusiva in Italia solo a condizione che il lavoratore non superi i 183 giorni di permanenza all’estero, che il datore di lavoro non sia residente nello Stato estero e che l’onere della retribuzione non sia sostenuto da una stabile organizzazione localizzata in tale Stato. È proprio quest’ultima condizione che, in presenza di una branch, viene meno. La branch è, infatti, una stabile organizzazione, fiscalmente rilevante, che assume l’onere economico della retribuzione del dipendente. Questo determina il passaggio automatico alla tassazione concorrente, con il diritto di imposizione riconosciuto anche allo Stato estero.
In tali situazioni, la doppia imposizione che ne deriva è superabile mediante il credito d’imposta disciplinato dall’articolo 165 del TUIR. Per ottenere tale beneficio è necessario che il reddito prodotto all’estero sia incluso nella base imponibile in Italia e che l’imposta estera sia stata versata in modo definitivo. La definitività non va intesa secondo un criterio meramente formale, ma secondo una logica sostanziale: le ritenute operate all’estero si presumono definitive al momento del versamento, come confermato dalla circolare 9/E del 2015.
L’onere della prova, che in teoria spetterebbe al contribuente, nella prassi è stato riequilibrato dal principio della vicinanza della prova. Tale principio riconosce che il lavoratore non ha accesso diretto alle quietanze dei versamenti effettuati dal datore di lavoro estero. È pertanto sufficiente la produzione di documentazione come le certificazioni annuali rilasciate dal datore, le buste paga o, nei casi previsti, una dichiarazione sostitutiva che attesti l’assenza di contenziosi e la definitività dell’imposta estera.
La Corte di Cassazione, con la sentenza 25698 del 2022, ha chiarito che la prova può essere assolta anche in assenza di quietanze, purché il contribuente dimostri che la normativa estera obbliga il datore a effettuare e versare le ritenute. Questo orientamento ha trovato riscontro anche a livello territoriale, ad esempio nella Corte di Giustizia Tributaria della Lombardia, che ha ritenuto sufficiente la prova dell’obbligo giuridico di versamento.
Un ulteriore aspetto decisivo riguarda i termini per fruire del credito. L’articolo 165 del TUIR non prevede più decadenze, ma solo il termine di prescrizione decennale previsto dal Codice Civile. Questo significa che il contribuente può utilizzare il credito anche a distanza di anni, senza obbligo di riporto continuo nelle dichiarazioni annuali. Il termine decorre dal momento in cui il lavoratore riceve la documentazione utile per quantificare e attestare il credito, come la certificazione fiscale annuale del datore estero.
Questa impostazione evita che il diritto al credito venga compromesso da formalismi eccessivi, e garantisce coerenza con il principio di equità fiscale. Le riliquidazioni dell’imposta possono avvenire anche a distanza di anni dalla maturazione del credito, mediante i modelli fiscali previsti (quadro CR del Modello Redditi, rigo G4 del Modello 730).
In conclusione, la gestione fiscale del distacco presso una branch estera richiede una valutazione attenta della struttura giuridico-economica dell’operazione e degli obblighi dichiarativi connessi. Una pianificazione preventiva, accompagnata da un’adeguata raccolta documentale, consente di applicare correttamente il credito d’imposta ed evitare il rischio di doppia imposizione. Beneggi e Associati fornisce supporto concreto in tutte le fasi, dall’analisi contrattuale alla predisposizione della documentazione necessaria, assicurando conformità normativa e tutela degli interessi del lavoratore e dell’impresa.