La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 24148 del 28 agosto 2025, ha ribadito che trasferta e trasfertismo sono istituti giuridici separati, con condizioni, regole e trattamenti distinti. È dunque impossibile applicare simultaneamente le discipline fiscali/contributive dell’uno e dell’altro per le stesse somme erogate.
Secondo l’articolo 51, commi 5 e 6, TUIR, l’indennità per missioni fuori dal comune (trasferta) è disciplinata dal comma 5; il regime del comma 6 si applica invece solo al trasfertismo, in presenza di specifici presupposti previsti dalla legge di interpretazione autentica (art. 7‑quinquies D.L. 193/2016). Questi presupposti sono: l’assenza di sede di lavoro contrattuale, una mobilità continuativa e l’attribuzione di un’indennità fissa, senza distinzione tra spostamenti effettuati o meno.
Se manca almeno uno di questi elementi, non si configura trasfertismo e le somme devono essere trattate come indennità di trasferta. Nel regime di trasferta, l’indennità è imponibile solo nella parte che eccede i limiti esenti (46,48 € ovvero 77,47 € per l’estero), dedotte le spese di viaggio e trasporto; se vitto e alloggio sono rimborsati, la base imponibile si riduce in misura proporzionale (1/3 o 2/3). Nel regime trasfertista, l’indennità è assoggettata al 50 % e tutte le spese correlate (vitto, alloggio, trasporto) costituiscono reddito e sono incluse nella contribuzione, senza altre deduzioni o esclusioni.
Nel caso esaminato, la società aveva sostenuto le spese con carta aziendale e non le aveva rimborsate, ma la Cassazione ha rigettato l’eccezione. L’INPS ha ragione: in regime trasfertista, quelle spese devono concorrere al montante retributivo.
In conclusione: l’opzione fra trasferta e trasfertismo dipende dalle condizioni contrattuali e operative. Un errore nella qualificazione comporta rischi fiscali e contributivi rilevanti.
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