Qualificazione del rapporto: agente vs. procacciatore d’affari

Distinguere correttamente tra agente e procacciatore d’affari: l’ordinanza 27571/2025 della Cassazione, rischi e opportunità per l’impresa

La recente ordinanza n. 27571/2025 della Cassazione riafferma un principio cruciale: non è il nome dato al contratto che conta, ma la realtà dei fatti.
Nel dettaglio, il codice civile disciplina il contratto di agenzia all’articolo 1742: «colui che assume stabilmente l’incarico di promuovere, per conto del preponente, la conclusione di contratti in una zona determinata, dietro pagamento di una retribuzione».
Tale definizione racchiude elementi‑chiave: stabilità, continuità, zona determinata o gruppo di clienti, remunerazione in provvigione per affari conclusi.
Al contrario, il procacciatore d’affari, figura atipica non espressamente disciplinata dal codice, si limita generalmente a raccogliere ordinazioni o segnalare clienti, senza svolgere attività promozionale stabile e senza vincolo territoriale o di esclusività.

La qualificazione corretta è tutt’altro che formale: assume rilievo sul piano previdenziale (come l’obbligo di iscrizione alla Fondazione ENASARCO), sul piano contrattuale (diritti del collaboratore) e sui costi aziendali (contributi e sanzioni in caso di errata attribuzione).

Cosa dice l’ordinanza n. 27571/2025

Nel caso affrontato, una società contestava la richiesta di contributi da parte della Fondazione ENASARCO per tre intermediari, sostenendo che fossero procacciatori d’affari. La Corte d’appello di Roma e la Cassazione hanno però accertato che si trattava di veri e propri agenti, riconoscendo la natura del rapporto come contratto di agenzia.

Tra i fatti considerati rilevanti: durata pluriennale dei rapporti, fatturazione periodica, provvigioni rilevanti, assegnazione di zona determinata o gruppo di clienti e modalità operative che andavano oltre la mera segnalazione di affari.

La decisione ribadisce che l’onere di provare la natura di agente spetta all’ente o alla parte che sostiene l’esistenza del contratto di agenzia e che non può bastare la mera denominazione “procacciatore” o “collaboratore” per escludere il regime dell’agente.

Perché è rilevante per imprenditori e professionisti

La distinzione non è mero tecnicismo: la qualificazione errata può comportare:

  • contributi previdenziali non versati dall’azienda o dal collaboratore

  • richieste di arretrati da parte dell’ente previdenziale

  • riduzione o perdita di tutela per il collaboratore

  • impatti reputazionali e di compliance

Ad esempio, se un collaboratore era formalmente definito “procacciatore” ma di fatto operava con continuità, zona assegnata, provvigioni periodiche, l’azienda rischia di trovarsi di fronte a un accertamento con obbligo contributivo e magari sanzioni. In un altro caso concreto, un’impresa ha visto riqualificare dalla Corte il rapporto come agenzia in ragione della cadenza delle fatture e della quasi esclusività del collaboratore con l’impresa.

Per lo studio Beneggi e Associati, questo significa che i rapporti commerciali con intermediari, collaboratori e procacciatori vanno analizzati guardando alla sostanza: come si svolge effettivamente l’attività, quali poteri sono assegnati, quanto è continuativa la prestazione, quanto l’iniziativa è libera. Questa analisi permette di orientarsi con sicurezza nella scelta del rapporto contrattuale più adeguato e di definire le ricadute fiscali, previdenziali e operative.

Due esempi pratici

Esempio 1
Una impresa di componentistica industriale collabora con un intermediario che presenta clienti, fattura mensilmente da cinque anni, opera in esclusiva per l’impresa, ha zone assegnate e riceve provvigioni elevate. Quest’attività – nonostante la denominazione “procacciatore” – possiede tutti i tratti di un contratto di agenzia. Ne consegue obbligo di iscrizione all’ENASARCO, regime contributivo e tutela del collaboratore. Lo studio Beneggi e Associati ha analizzato la documentazione, suggerito la riqualificazione contrattuale ed evitato un accertamento contributivo di oltre 100.000 euro.

Esempio 2
Una start-up tecnologica affida a vari soggetti la segnalazione di potenziali clienti senza zona assegnata, senza fatturazione periodica, con compensi solo al buon esito occasionale. La natura è riconducibile al procacciatore d’affari. Lo studio ha supportato la definizione di collaborazioni con clausole corrette (assenza di esclusiva, libertà di iniziativa, compenso solo a risultato) e predisposto controllo interno per evitare che la tipologia collassi in agenzia per fatto.

Per un imprenditore, un manager o un professionista che vuole governare i rapporti con collaboratori intermediari, la scelta non è solo fra “agenzia” o “procacciatore”: è una scelta strategica di assetto, posizione e governance. Con lo studio Beneggi e Associati si fa questa scelta in modo consapevole, efficace e orientato al valore.

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