Quando un socio decide di finanziare la propria società, la forma e la sostanza dell’operazione devono essere ineccepibili, altrimenti il Fisco può contestare la genuinità dell’apporto e riqualificarlo, anche ai fini di un accertamento induttivo. L’ordinanza della Cassazione n. 16904/2025 ha ribadito con chiarezza i presupposti di legittimità di questi finanziamenti, mettendo in guardia imprese e professionisti rispetto a pratiche formalmente corrette ma sostanzialmente opache.
Il caso: capacità finanziaria e apparenza dell’operazione
Nel caso esaminato, i soci avevano effettuato finanziamenti per oltre un milione di euro, ma i redditi da loro dichiarati non erano compatibili con tale capacità finanziaria. L’Amministrazione finanziaria ha ritenuto che i versamenti non provenissero effettivamente dai soci, ma rappresentassero una manovra per occultare ricavi non dichiarati della società. Ne è derivato un accertamento induttivo puro basato sull’inattendibilità della contabilità, in quanto formalmente corretta ma priva di riscontri concreti.
Le regole da rispettare per non incorrere in contestazioni
Affinché un finanziamento soci sia considerato valido e opponibile al Fisco, è essenziale che vi sia:
-
una delibera assembleare regolare,
-
una corretta registrazione contabile coerente con la tempistica dei versamenti,
-
la tracciabilità delle operazioni, preferibilmente attraverso strumenti bancari.
In assenza di questi elementi, e soprattutto se i versamenti sono effettuati in contanti o non giustificati da redditi congrui dei soci, l’operazione può essere considerata fittizia. In tal caso, il finanziamento viene visto come un’indicazione di ricavi occulti e può legittimare la determinazione presuntiva del reddito.
L’orientamento della giurisprudenza
La Cassazione ha più volte confermato che i finanziamenti si presumono fruttiferi salvo prova contraria, e che la loro mancata tracciabilità, soprattutto se in contanti, rappresenta un indizio a favore dell’Amministrazione finanziaria. La sola iscrizione in bilancio non basta: occorre dimostrare la reale provenienza delle somme. Se i soci non dispongono di redditi adeguati, il Fisco può ritenere che si tratti di utili extracontabili reimmessi in società, ipotizzando così evasione fiscale.
È stato inoltre precisato che l’opponibilità dei finanziamenti richiede una documentazione formalmente corretta: delibere, scritture contabili e prova dell’effettiva erogazione. Quando mancano giustificazioni attendibili e i soci non riescono a dimostrare l’origine lecita delle somme, anche il semplice saldo negativo di cassa può diventare la base per un accertamento induttivo.
In alternativa, il Fisco può confrontare la convenienza e la ragionevolezza del finanziamento soci rispetto a un eventuale ricorso al credito bancario. Se mancano spiegazioni convincenti su tale scelta gestionale, l’operazione potrebbe apparire come economicamente ingiustificata e quindi elusiva.
Conclusione
Il messaggio della giurisprudenza è chiaro: i finanziamenti dei soci devono essere reali, coerenti con la situazione patrimoniale e reddituale degli stessi, e tracciabili. Altrimenti, il rischio è duplice: da un lato l’irrilevanza fiscale dell’operazione, dall’altro l’attivazione di un accertamento fondato su presunzioni, che può comportare conseguenze significative sia per la società che per i singoli soci.
I finanziamenti dei soci alla società richiedono massima cura contrattuale e contabile. Quando mancano delibere assembleari, scritture coerenti o capacità finanziaria dei soci, si attiva l’accertamento induttivo puro. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 16904/2025) ribadisce che in queste condizioni il Fisco può procedere a rettifiche senza prove analitiche.
"*" indica i campi obbligatori