Con il Dl 159/2025, in vigore dal 31 ottobre 2025, diventa esplicito il divieto per gli amministratori di società di utilizzare la pec dell’impresa come proprio domicilio digitale. La norma, contenuta all’articolo 13, commi 3 e 4, del decreto sulla sicurezza sul lavoro, interviene su un tema controverso dopo l’obbligo introdotto dalla legge di Bilancio 2025.
La nuova disposizione chiarisce che «il domicilio digitale dei predetti amministratori non può coincidere con il domicilio digitale dell’impresa», recependo così l’interpretazione restrittiva già contenuta nella circolare Mimit del 12 marzo 2025. Questa novità si scontra con la prassi seguita da molte Camere di commercio, orientate ad accettare l’uso della pec aziendale anche per gli amministratori, in un’ottica di semplificazione.
Il vincolo, se confermato in sede di conversione parlamentare, obbligherà gli amministratori a dotarsi di una pec personale separata, generando costi e complicazioni operative. Resta però poco chiara la finalità dell’obbligo: le comunicazioni fiscali, previdenziali e processuali sono di competenza della società e non degli amministratori come persone fisiche.
Il divieto appare anacronistico in un contesto in cui la residenza fisica dell’amministratore può coincidere con la sede legale della società. Perché allora vietare la condivisione del domicilio digitale? Alcuni osservatori evidenziano possibili profili di incostituzionalità per una norma che limita senza apparente beneficio concreto.
Essendo un decreto legge, il Dl 159/2025 dovrà essere convertito entro il 30 dicembre 2025. C’è quindi margine per un intervento correttivo che elimini o almeno attenui il divieto, allineando la norma alla prassi operativa e riducendo gli oneri burocratici.
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