Nei primi mesi del 2025 l’Agenzia delle Entrate ha avviato una campagna di controlli mirata ai contribuenti in regime forfettario, concentrandosi su chi nel 2021 ha superato il limite di 65.000 euro di ricavi o compensi. L’obiettivo è verificare la corretta applicazione del regime agevolato e, in caso di violazioni, ricostruire il reddito 2022 secondo le regole del regime ordinario. Questa attività si inserisce in un contesto di rafforzamento delle verifiche fiscali, con utilizzo massivo di banche dati e incroci finanziari.
Il tema centrale riguarda la possibilità per il contribuente di far valere il riconoscimento dei costi nell’anno successivo al superamento della soglia, evitando che il reddito venga ricalcolato in modo eccessivo e non aderente alla realtà economica.
Il regime forfettario e le soglie di ricavi
Il regime forfettario, introdotto dall’articolo 1, comma 54 e seguenti della legge 190/2014, prevede una tassazione agevolata con imposta sostitutiva del 15% (ridotta al 5% per le nuove attività), calcolata applicando un coefficiente di redditività ai ricavi o compensi. Fino al 2022 il limite era fissato a 65.000 euro, mentre la legge di Bilancio 2023 lo ha innalzato a 85.000 euro. Inoltre, è stata introdotta una causa di esclusione immediata: il superamento in corso d’anno della soglia di 100.000 euro comporta la fuoriuscita dal regime già nell’anno stesso.
Chi nel 2021 ha superato i 65.000 euro avrebbe dovuto applicare il regime ordinario dal 2022. I controlli avviati nel 2025 mirano a verificare questa transizione e a recuperare eventuali imposte non versate.
Come si svolgono i controlli
L’Agenzia delle Entrate utilizza dati dell’anagrafe tributaria, fatture elettroniche e flussi bancari per individuare i contribuenti che hanno superato la soglia. In caso di irregolarità, vengono notificati schemi d’atto contenenti le contestazioni preventive, con avvio del contraddittorio obbligatorio ai sensi dell’articolo 12 dello Statuto del Contribuente. Se il contribuente non fornisce chiarimenti, si procede con l’avviso di accertamento e la ricostruzione del reddito secondo il regime ordinario.
Il problema principale è che, nel regime forfettario, i costi sono già incorporati nei coefficienti di redditività e non vi è obbligo di contabilità analitica. Di conseguenza, l’Ufficio tende a considerare l’intero ammontare dei ricavi ricostruiti come reddito imponibile, senza riconoscere i costi effettivamente sostenuti.
Strategie difensive: cosa può fare il contribuente
Il contribuente ha diverse possibilità per limitare le pretese del Fisco:
Documentare i costi effettivi
Chi nel 2022 avrebbe dovuto applicare il regime ordinario può esibire documenti che attestano le spese sostenute: fatture passive, estratti conto, ricevute di pagamento, contratti con collaboratori, note spese. Anche la contabilità “non ufficiale” può avere valore probatorio se supportata da elementi concreti. La giurisprudenza (Cassazione n. 3115/2006) ha chiarito che, in caso di accertamento induttivo, l’onere della prova dei costi spetta al contribuente.
Chi nel 2022 avrebbe dovuto applicare il regime ordinario può esibire documenti che attestano le spese sostenute: fatture passive, estratti conto, ricevute di pagamento, contratti con collaboratori, note spese. Anche la contabilità “non ufficiale” può avere valore probatorio se supportata da elementi concreti. La giurisprudenza (Cassazione n. 3115/2006) ha chiarito che, in caso di accertamento induttivo, l’onere della prova dei costi spetta al contribuente.
Richiedere il riconoscimento di costi minimi
Se la documentazione è incompleta, è possibile eccepire il riconoscimento di costi minimi necessari per l’attività. Questo principio è stato ribadito dalla Cassazione (sentenza n. 5486/2025), che ha stabilito che, in caso di ricostruzione induttiva dei ricavi, l’Amministrazione deve considerare le spese indispensabili per garantire un’imposizione equa. Le percentuali possono essere parametrate ai margini medi di settore o ai coefficienti di redditività del regime forfettario.
Se la documentazione è incompleta, è possibile eccepire il riconoscimento di costi minimi necessari per l’attività. Questo principio è stato ribadito dalla Cassazione (sentenza n. 5486/2025), che ha stabilito che, in caso di ricostruzione induttiva dei ricavi, l’Amministrazione deve considerare le spese indispensabili per garantire un’imposizione equa. Le percentuali possono essere parametrate ai margini medi di settore o ai coefficienti di redditività del regime forfettario.
Riferimenti normativi e giurisprudenziali
Le procedure di accertamento si basano sugli articoli 39 e 41 del Dpr 600/1973 per le imposte dirette e sull’articolo 55 del Dpr 633/1972 per l’Iva. La Corte di Giustizia UE (sentenza C-332/15) e la Cassazione (sentenza n. 143/2022) hanno chiarito che la mancata registrazione delle fatture non comporta la perdita del diritto alla detrazione se le condizioni sostanziali sono rispettate. Inoltre, la Corte costituzionale (sentenze n. 225/2005 e n. 10/2023) ha sancito la necessità di riconoscere costi minimi per rispettare il principio di capacità contributiva.
Come prepararsi ai controlli
Per affrontare i controlli è fondamentale:
- Verificare la propria posizione e ricostruire i ricavi degli anni precedenti.
- Preparare la documentazione utile a dimostrare i costi sostenuti.
- Monitorare le comunicazioni dell’Agenzia e partecipare attivamente al contraddittorio.
- Valutare la possibilità di proporre una ricostruzione ragionevole del reddito, basata su dati concreti e principi di equità.
Un approccio proattivo consente di ridurre il rischio di accertamenti e di evitare rettifiche eccessive che non riflettono la realtà economica.
La campagna di controlli sui forfettari è già in corso e riguarda annualità passate. Ignorare le comunicazioni dell’Agenzia può portare a contestazioni pesanti e a un carico fiscale sproporzionato. Prepararsi oggi significa tutelare la propria posizione e garantire il rispetto dei principi di equità fiscale.
"*" indica i campi obbligatori