La Corte di Cassazione ha recentemente stabilito che, per accertamenti induttivi (in questo caso sui tassisti), sono necessari elementi gravi, precisi e concordanti per determinare un maggior reddito; in assenza di tali elementi, l’accertamento è illegittimo. La sentenza n. 27692/2024 ha accolto il ricorso di un tassista contro l’agenzia delle Entrate, che aveva ricostruito il reddito in base a dati indiziari quali chilometri percorsi, distanza media per corsa e redditività media, portando il reddito da 14.439 a 41.371 euro.
Nonostante il tassista fosse risultato congruo agli studi di settore, l’Agenzia aveva ricalcolato il reddito utilizzando il metodo induttivo. Dopo un primo esito sfavorevole in Commissione Tributaria Provinciale e poi in Regionale, il ricorso è stato accolto dalla Cassazione, che ha trovato contraddittoria la sentenza di merito poiché mancavano prove sufficienti a giustificare l’aumento del reddito.
La Cassazione ha inoltre richiamato precedenti sentenze (come la n. 11593/2021) che convalidavano metodi induttivi solo in casi particolari, come per la ristorazione, dove il reddito può essere stimato su basi concrete come consumo di tovaglioli o farina. Tuttavia, la Corte ha chiarito che tali metodologie devono essere adeguate alla realtà dell’attività e che il metodo di accertamento scelto deve riflettere la specificità aziendale. In questo caso, i parametri come i chilometri percorsi e le corse medie non sono stati ritenuti idonei per stimare il reddito del tassista, dato che mancavano le prove necessarie a giustificare tale metodologia.
Questa sentenza è importante poiché tutela i contribuenti, stabilendo che le stime dell’agenzia delle Entrate non possono basarsi su presunzioni arbitrarie, ma devono essere supportate da prove concrete. La decisione implica che l’Agenzia dovrà adottare un approccio più dettagliato per le attività specifiche come quelle dei tassisti, dove i criteri generici potrebbero non riflettere correttamente la realtà operativa.