Negli ultimi anni la gestione della supply chain ha assunto un ruolo sempre più rilevante nella strategia d’impresa. Settori come moda, logistica, grande distribuzione e agricoltura sono diventati terreno di verifica e controllo non solo economico, ma anche normativo e fiscale. La crescente attenzione da parte del legislatore, delle autorità giudiziarie e amministrative, è un chiaro segnale per le imprese: la catena di fornitura non è più un ambito secondario, bensì un elemento critico che può determinare o compromettere la sostenibilità e la legalità del business.
L’esternalizzazione di processi produttivi e servizi permette efficienze operative, ma può generare rischi concreti se non gestita con criteri rigorosi di conformità normativa. Appalti fittizi, intermediazione illecita, caporalato, sfruttamento del lavoro, utilizzo di fatture per operazioni inesistenti: sono fenomeni sempre più presenti anche nei contesti più evoluti e digitalizzati. Alcuni casi giurisprudenziali recenti, specie nel distretto di Milano, lo dimostrano chiaramente.
Responsabilità fiscale, civile e penale del committente
La normativa italiana e comunitaria ha ampliato il perimetro della responsabilità del committente, che può essere chiamato a rispondere per violazioni commesse dagli appaltatori e subappaltatori. Sul piano fiscale, in caso di appalti irregolari o simulati, il Fisco può disconoscere l’IVA detratta e i costi dedotti, configurando il reato di dichiarazione fraudolenta con uso di fatture per operazioni inesistenti (art. 2 Dlgs 74/2000). Oltre alle sanzioni pecuniarie, possono scattare confische patrimoniali e responsabilità amministrativa dell’ente ex Dlgs 231/2001.
Anche le imposte dirette sono a rischio: i costi sostenuti per prestazioni appaltate a soggetti di comodo o non operanti effettivamente vengono disconosciuti, con ricadute su Ires, Irap e sanzioni. L’Amministrazione finanziaria può quindi riqualificare le operazioni e colpire direttamente il committente, anche quando questi ritenga di avere solo un ruolo marginale nell’organizzazione delle attività esternalizzate.
Non solo: ai sensi dell’articolo 29 del Dlgs 276/2003, il committente è responsabile in solido con appaltatore e subappaltatori per i trattamenti retributivi, i contributi previdenziali e assicurativi dovuti ai lavoratori impiegati. La Corte costituzionale, con sentenza 254/2017, ha inoltre esteso tale responsabilità anche ai lavoratori impiegati da subfornitori privi di un rapporto diretto con il committente.
Dalla compliance formale alla strategia di prevenzione
In questo scenario è evidente che la compliance non può più limitarsi a controlli documentali ex post. Occorre una gestione integrata e proattiva, che parta dalla selezione dei fornitori e si sviluppi lungo tutta la filiera. La due diligence sui partner commerciali deve considerare non solo aspetti economico-finanziari, ma anche profili reputazionali, etici e giuslavoristici.
Tra le misure di prevenzione più efficaci:
- qualificazione accurata dei fornitori con verifiche sostanziali
- inserimento di clausole contrattuali che impongano la conformità alle normative sociali, fiscali, ambientali
- monitoraggio continuo dell’esecuzione dei contratti, anche tramite audit e ispezioni periodiche
- attivazione di strumenti digitali di tracciabilità della filiera
- coordinamento tra risorse umane, legale, procurement, compliance
La direzione è chiara anche a livello UE: regolamenti e direttive recenti (come EUDR, CS3D, Forced Labour Regulation e Empowering Directive) impongono obblighi di due diligence, vietano prodotti derivanti da lavoro forzato e incentivano modelli produttivi sostenibili.
Due esempi concreti
Un’impresa della logistica, committente di servizi di movimentazione merci, è stata coinvolta in un procedimento penale per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. L’appaltatore utilizzava lavoratori in nero e in condizioni degradanti. Il giudice ha ritenuto che la società committente non potesse non sapere, dato il livello di integrazione funzionale e la mancanza di controlli sistematici.
Un secondo caso ha riguardato una società della moda che aveva affidato parte della produzione a laboratori terzi. Questi ultimi, non regolari, emettevano fatture con prestazioni mai rese. L’Agenzia delle Entrate ha disconosciuto i costi dedotti e l’IVA detratta, con recupero di imposte, sanzioni e responsabilità amministrativa ex Dlgs 231.
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