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Buoni pasto, accordi aziendali da verificare

La rimodulazione dei limiti di esenzione dei buoni pasto contenuta nella legge di bilancio 2020, ed efficace a partire dallo scorso primo gennaio, allarga la forbice della convenienza fiscale tra ticket i cartacei e quelli elettronici, e potrebbe rendere necessaria la revisione degli accordi collettivi che disciplinano questo strumento. 

La contestuale riduzione della quota non imponibile dei tagliandi tradizionali, ora pari a 4 euro (prima 5,29 euro) e l’innalzamento del limite detassato fino a 8 euro per quelli in formato digitale (7 euro in precedenza), potrebbe favorire uno spostamento significativo verso l’utilizzo di questi ultimi.

Gran parte delle aziende dovranno adeguarsi a queste nuove regole: fino all’anno scorso la maggioranza delle imprese, infatti, ha erogato buoni pasto cartacei da 5,29 euro in quanto questo era il precedente limite di non imponibilità fiscale per i ticket tradizionali. Dal punto di vista economico, le aziende che decidono di non cambiare dovranno quindi considerare un incremento di imponibile di circa 300 euro annui in busta paga [(5,29 – 4) x 230 giorni lavorati] con l’applicazione di maggiori trattenute fiscali e previdenziali, da un minimo di 89 a un massimo di 143 euro all’anno, a seconda della retribuzione lorda del dipendente, oltre alle addizionali comunali e regionali. In questo caso i datori di lavoro dovranno anche versare ulteriori contributi Inps a loro carico, per circa 85 euro a dipendente.

Viene stabilito un forte incentivo, quindi, al passaggio ai ticket elettronici. Tuttavia, la crescita di tali strumenti è condizionata anche dal loro grado di accettazione da parte degli esercizi convenzionati, molti dei quali potrebbero continuare a trattare esclusivamente i buoni cartacei, sia per evitare l’aggravio dei costi di gestione delle macchinette Pos sia per evitare una doppia gestione cartaceo-elettronico (si pensi agli operatori di piccole dimensioni, a molti bar, ristoranti, negozi di alimentari e punti ristoro ambulanti). 

Un altro problema potrebbe porsi qualora l’erogazione dei buoni pasto sia disciplinata da un accordo sindacale o da un regolamento aziendale vincolante. Le situazioni che potrebbero verificarsi sono diverse.

In presenza di un accordo aziendale, non sarà necessario un aggiornamento dello stesso qualora le parti non abbiano individuato un valore fisso del buono, ma si siano limitate a prevedere l’erogazione di un titolo per un valore massimo rientrante entro i limiti di esenzione fiscale. Tale situazione appare tuttavia molto improbabile, perché gran parte delle intese esistenti individua in concreto l’importo del buono, fissandolo a 5,29 euro. In particolare, se l’accordo collettivo rimanesse inalterato e facesse riferimento ai buoni cartacei, il surplus di 1,29 euro per ogni ticket distribuito concorrerebbe alla formazione del reddito di lavoro, secondo quanto visto sopra, determinando una diminuzione del salario netto del dipendente.

Per evitare questo effetto, l’azienda potrebbe decidere di passare al buono elettronico; ma anche tale scelta potrà essere compiuta solo se non ci sono clausole ostative nell’accordo collettivo. Sarebbe quindi importante mettersi a tavolino e verificare caso per caso gli spazi di manovra lasciati dall’accordo sottoscritto con le rappresentanze sindacali, procedendo all’aggiornamento di quelle intese che contengono impegni diventati penalizzanti dal punto di vista fiscale a partire dal 1° gennaio. 

Meno problemi ci saranno per le aziende che erogano i buoni pasto sulla base di un regolamento aziendale unilaterale: in questo caso, sarà sufficiente un aggiornamento della policy (passando ai buoni elettronici, nei casi in cui viene superato il tetto dei 4 euro) per attutire l’impatto fiscale delle nuove regole.


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@ Beneggi e Associati | Commercialisti al servizio delle imprese | Meda | Milano

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