La restituzione dei finanziamenti erogati dai soci alle imprese in crisi è un tema di particolare rilevanza in ambito giuridico e finanziario. L’articolo 2467 del Codice Civile introduce il concetto di postergazione per i rimborsi concessi ai soci, stabilendo che tali finanziamenti non siano rimborsabili in situazioni di squilibrio finanziario. Questa disposizione ha l’obiettivo di contrastare la sottocapitalizzazione delle imprese, un fenomeno in cui i soci preferiscono finanziare le società con prestiti anziché con capitali di rischio, aumentando così il rischio per i creditori.
Recentemente, una sentenza della Corte d’Appello di Firenze (n. 1729 del 15 ottobre 2024) ha fornito chiarimenti su un aspetto specifico della questione: la possibilità di azioni per la restituzione di finanziamenti illegittimamente rimborsati ai soci. Questa decisione ha implicazioni importanti per gli amministratori e per i liquidatori che subentrano nella gestione dell’impresa.
Quando i soci finanziano un’impresa che si trova in una situazione di crisi o di forte indebitamento, il Codice Civile prevede che tali fondi siano considerati postergati, ovvero che il loro rimborso debba essere subordinato alla soddisfazione dei creditori ordinari. In altre parole, i creditori non postergati (come fornitori o istituti finanziari) devono essere pagati prima che si possa rimborsare ai soci quanto da loro prestato.
Questa regola serve a evitare che i soci, invece di investire capitale di rischio nella società, preferiscano utilizzare il canale del finanziamento (il quale, se rimborsabile in qualsiasi momento, aumenta i rischi per i creditori e ne compromette i diritti). I finanziamenti soci diventano così temporaneamente inesigibili finché la situazione di crisi non è superata o fino alla soddisfazione di tutti i creditori ordinari.
Un elemento centrale nel regime della postergazione è la responsabilità dell’amministratore. Se, nonostante la postergazione, l’amministratore rimborsa comunque il socio, questo pagamento è considerato illegittimo e può comportare un obbligo risarcitorio per l’amministratore, che potrebbe essere tenuto a rispondere dei danni verso i creditori non soddisfatti. In pratica, l’amministratore che rimborsa il socio, ignorando la postergazione, rischia di essere chiamato a rispondere in giudizio.
D’altra parte, però, secondo la recente sentenza della Corte d’Appello di Firenze, il liquidatore o amministratore che subentra successivamente non è tenuto a chiedere la restituzione delle somme rimborsate ai soci in violazione dell’articolo 2467. La motivazione risiede nel fatto che questi finanziamenti, seppure rimborsati illegittimamente, sono considerati “temporaneamente inesigibili” e quindi non possono essere oggetto di un’azione di ripetizione ordinaria. Questo è un chiarimento fondamentale per i liquidatori che subentrano nella gestione di imprese in crisi.
Secondo l’interpretazione della Corte, l’azione corretta per ottenere la restituzione dei finanziamenti postergati è la revocatoria fallimentare. Questa azione è disciplinata dall’articolo 164 del Codice della crisi e richiede che il rimborso dei finanziamenti ai soci sia avvenuto entro l’anno precedente all’apertura della procedura concorsuale. Solo in questo caso, il curatore fallimentare può richiedere la restituzione dei fondi ai soci.
La revocatoria fallimentare non può essere considerata una semplice azione di ripetizione dell’indebito (che prevede la restituzione di somme erroneamente pagate), ma piuttosto come uno strumento previsto specificamente per garantire che le risorse siano destinate ai creditori ordinari. Inoltre, la revocatoria ha una limitazione temporale: è valida solo per i rimborsi effettuati entro l’anno antecedente alla richiesta di apertura della procedura concorsuale.
La sentenza chiarisce inoltre che non è possibile utilizzare l’azione ordinaria di ripetizione (ex articolo 1185 del Codice Civile) per ottenere la restituzione dei rimborsi concessi ai soci. L’articolo 1185 stabilisce, infatti, che i pagamenti anticipati non possono essere richiesti indietro. Poiché i rimborsi ai soci rientrano in questa categoria, sono da considerarsi irripetibili, a meno che non si tratti di una revocatoria entro i limiti temporali previsti dalla legge.
La sentenza introduce, inoltre, una riflessione sull’omessa azione dell’amministratore. Potrebbe sorgere una responsabilità omissiva nel caso in cui l’amministratore, pur conoscendo i rimborsi indebiti ai soci, non prenda provvedimenti per aprire una procedura concorsuale, che permetterebbe al curatore di agire per la restituzione dei fondi. In questi casi, la mancata azione dell’amministratore potrebbe essere vista come un’omissione lesiva per i creditori e aprire la strada a possibili azioni di responsabilità.
Il tema della postergazione dei finanziamenti dei soci è di grande importanza per la tutela dei creditori e per garantire la corretta gestione delle crisi aziendali. La recente giurisprudenza chiarisce che:
Questa complessa disciplina è concepita per evitare che i soci utilizzino finanziamenti come strumenti di fuga dal rischio d’impresa, proteggendo così il patrimonio sociale a vantaggio dei creditori e della stabilità aziendale.