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Dipendenti, sconti sui beni aziendali esentasse per tutto l’anno

 

 

Nell’ambito delle cessioni di beni e servizi a titolo oneroso, il datore di lavoro può applicare ai dipendenti una scontistica diversa rispetto a quella utilizzata per i clienti e, a certe condizioni, l’intero risparmio può comunque risultare fiscalmente non imponibile.

 

La recente interpretazione dell’agenzia delle Entrate, oltre a essere parzialmente innovativa, consente una gestione semplificata degli sconti ai dipendenti in neutralità fiscale. Ma è anche l’occasione per fare il punto della situazione sulle altre formule utilizzabili in cui il dipendente può risparmiare denaro in caso di acquisto di beni e servizi a condizioni agevolate senza trovarsi ulteriori ritenute in busta paga.

 

Il caso analizzato dall’amministrazione finanziaria riguarda beni commercializzati dall’azienda istante sui quali viene applicato lo sconto in misura fissa del 5% sul prezzo di acquisto, tramite un badge a uso esclusivo dei dipendenti. Tale sconto è sempre superiore al costo sostenuto dalla società per l’acquisto dei prodotti e non è cumulabile con gli sconti dedicati alla clientela. Inoltre, questi ultimi, seppure offerti in tempi e luoghi non omogenei, sono comunque mediamente più elevati dello sconto del 5% concesso ai dipendenti.

 

Il via libera delle Entrate alla non imponibilità dello sconto fisso ai dipendenti non si discosta dalla regola generale secondo cui le cessioni a titolo oneroso di beni e servizi sono detassate se avvengono al valore normale di cui all’articolo 9, comma 3 del Tuir. Ovvero, se il prezzo pagato dal dipendente è quello mediamente praticato per i beni e i servizi della stessa specie o similari, in condizioni di libera concorrenza, nel tempo e nel luogo in cui sono stati acquisiti e al netto degli sconti d’uso.

 

Per certi versi la lettura dell’amministrazione finanziaria è estensiva sia nel luogo, sia nel tempo, tanto è vero che le cessioni ai lavoratori possono avvenire in qualsiasi giorno dell’anno e in diversi punti vendita, ma soprattutto nel riconoscimento di uno sconto fisso del 5% nei confronti dei dipendenti esente. Questa semplicità operativa, tuttavia, deve essere suffragata dalla produzione a monte di un’apposita documentazione che dimostri che lo sconto determinato in misura fissa sia effettivamente inferiore a quello medio applicato alla clientela.

 

Nel caso di specie, poi, il vantaggio per il dipendente è amplificato dalla circostanza che la base di calcolo su cui applicare lo sconto è già di per se stessa generalmente favorevole perché riferita ai prezzi di commercio all’ingrosso praticati dall’istante (che opera nel settore del commercio all’ingrosso di generi alimentari e non).

 

Anche se non oggetto dell’interpello, si annota che invece le imprese manifatturiere, le quali effettuano cessioni al grossista seguono regole differenti. In particolare, per i generi in natura prodotti dall’azienda si deve fare riferimento al prezzo mediamente praticato dall’azienda stessa nelle cessioni al grossista senza tenere conto degli sconti d’uso. Ma la norma riguarda solo i dipendenti delle aziende che producono beni e che effettuano cessioni ai grossisti. Infine, spesso la soluzione più pratica e conveniente è il ricorso alle convenzioni con soggetti terzi. Anche queste possono essere vantaggiose fiscalmente. Il risparmio sul prezzo non concorre, infatti, a formare il reddito se quanto corrisposto dal lavoratore equivale al prezzo scontato che il fornitore pratica in base a specifiche convenzioni stipulate con il datore di lavoro.

 

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