Il Modello di organizzazione, gestione e controllo ex Dlgs 231/2001 è nato come strumento di prevenzione dei reati e di tutela per le imprese, soprattutto in un’ottica di compliance e responsabilità amministrativa. Nella pratica, però, troppe aziende – in particolare PMI – lo trattano come un mero adempimento formale, utile solo a “sventolare” la certificazione, piuttosto che a ridurre concretamente i rischi.
Questa impostazione, oltre a svuotare di significato la compliance, espone l’impresa a rischi concreti: i giudici stanno bocciando i Modelli 231 generici, copiati o non aggiornati, che non dimostrano alcuna reale capacità preventiva.
Errori più frequenti nei Modelli 231
Dalle prassi analizzate, emergono alcune criticità ricorrenti:
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Modelli copia-incolla: documenti redatti copiando format standard o materiali trovati online, senza alcuna personalizzazione rispetto alla realtà aziendale.
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Reati non pertinenti o irrilevanti: inserimento di fattispecie che non hanno nulla a che fare con l’attività effettiva dell’impresa, con l’effetto di generare confusione e disorganizzazione.
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Risk assessment assente o generico: valutazioni del rischio formali e astratte, senza un’analisi concreta dei processi aziendali, dei flussi decisionali e delle aree sensibili.
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Mancanza di formazione e diffusione interna: il Modello rimane un documento statico, sconosciuto a dipendenti e management, privo di efficacia operativa.
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Assenza di aggiornamenti: un Modello fermo a qualche anno prima non tiene conto dei mutamenti normativi, organizzativi e di business, perdendo validità.
Perché un Modello 231 inefficace è un rischio
Un Modello 231 non aggiornato o generico non solo non tutela l’impresa in caso di contestazioni, ma può addirittura trasformarsi in un fattore di rischio, segnalando ai giudici disorganizzazione e mancanza di cultura della prevenzione.
Come sottolineato in diverse pronunce, un Modello inefficace diventa un boomerang reputazionale e legale, perché dimostra che l’impresa non ha davvero adottato strumenti idonei ad evitare illeciti.
Cosa chiedono i giudici: modelli vivi e integrati
La giurisprudenza più recente è chiara: il Modello 231 deve essere integrato con i processi reali dell’azienda, aggiornato rispetto a evoluzioni normative e organizzative, conosciuto e applicato dal personale tramite formazione continua, operativo, cioè in grado di incidere davvero sulla gestione dei rischi, non un documento di facciata.
La cultura 231 non nasce dalla proliferazione di manuali e policy, ma dalla coerenza con cui l’impresa traduce il Modello in prassi quotidiane, con la stessa serietà con cui gestisce bilanci e strategie di mercato.
Un Modello 231 costruito correttamente non è un costo, ma un investimento strategico: riduce i rischi legali e reputazionali, migliora l’accesso a bandi, finanziamenti e gare pubbliche, rafforza la governance e la fiducia degli stakeholder, aumenta la resilienza dell’impresa contro comportamenti illeciti.