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Nel Fondo salva imprese entrano le Pmi strategiche

 

Il Fondo, di cui Invitalia è il gestore (come per il fondo Patrimonio Pmi), parte con una dotazione iniziale di 300 milioni di euro, di cui almeno 90 destinati al sostegno di acquisizioni e turnaround in cui un terzo intervenga rilevando la gestione dell’azienda allo scopo di risanarla e preservare il più possibile i posti di lavoro. Tale dotazione potrà essere però incrementata, sia a livello globale che di singoli investimenti, anche da parte delle regioni ovvero da altre amministrazioni ed enti. Gli interventi di ristrutturazione finanziati dal fondo sono rivolti a tre categorie di soggetti:

  • imprese titolari di marchi storici di interesse nazionale (di cui all’articolo 185-bis del Dl 30/05), indipendentemente dalla forma societaria e dalla dimensione aziendale;
  • società di capitali con non meno di 250 dipendenti;
  • imprese che detengono beni e rapporti di rilevanza strategica per l’interesse nazionale.

Tra queste ultime, si includono non solo quelle appartenenti ai settori elencati nell’articolo 15 del Dl 23/20, ma anche – con definizione introdotta dal decreto attuativo – quelle che rivestono «un ruolo chiave nel promuovere lo sviluppo e il benessere della collettività».

 

Il decreto prevede due tipologie di interventi possibili, a seconda delle condizioni finanziarie dell’impresa: il primo opera all’interno del temporary framework ed è rivolto a imprese che, non versando in uno stato di difficoltà ai sensi della ben nota comunicazione della Commissione europea 2014/C 249/01, si trovano in stato di difficoltà finanziaria. Essa è definita (mutuando correttamente concetti aziendalistici già introdotti dal Cci) dalla presenza di flussi di cassa prospettici inadeguati a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate.

 

Il secondo intervento è rivolto invece a imprese in difficoltà ai sensi del paragrafo 2.2 della comunicazione sopra citata: si tratta di una grande novità, perché sino a oggi il governo ha escluso tali imprese dal novero delle misure di aiuto di stato vincolate dal temporary framework. Si tratta delle imprese con patrimonio netto sotto al minimo legale o negativo, in procedura concorsuale, o – se non Pmi – con un rapporto debito/patrimonio netto contabile superiore a 7,5 e un rapporto Ebitda/interessi inferiore a 1,0 negli ultimi due anni.

 

Le imprese dovranno fare un vero e proprio piano di risanamento, che descriva le capacità imprenditoriali, faccia un quadro chiaro della crisi, delle sue cause e del posizionamento di mercato dell’impresa, evidenzi tutte le azioni e gli interventi gestionali e finanziari previsti, e ovviamente gli interventi per il sostegno all’occupazione.

 

Questi possono andare da processi di riqualificazione, innovazione organizzativa e tecnologica, modelli contrattuali e schemi di orario di lavoro e anche gestione degli esuberi di personale.

 

È necessario porre in essere un’attività di M&A, citando eventuali soggetti già interessati o il percorso da seguire per individuarli, e tra questi è previsto possano anche esservi gli stessi dipendenti con processi di workers’ buy-out.

 

Il fondo interverrà per le prime imprese, in mera crisi finanziaria, con interventi nel capitale di rischio dell’impresa richiedente o di quella che subentra nell’attività della prima (investitore), mentre per le imprese in difficoltà ai sensi del paragrafo 2.2, solo tramite interventi nel capitale della richiedente, ma con un intervento aggiuntivo a fondo perduto commisurato agli impegni occupazionali assunti dall’impresa.

 

L’importo complessivo di ciascun intervento – per entrambe le categorie di impresa – ha un tetto massimo di 10 milioni di euro, che però potrà essere superato in presenza di un ulteriore sostegno da parte della regione interessata dal programma di risanamento o altre amministrazioni o enti.

 

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