L’Agenzia delle Entrate, con la risposta n. 270/2025, chiarisce che i rimborsi chilometrici percepiti da un professionista non rientrano tra le “spese addebitate analiticamente” al committente e pertanto concorrono al reddito di lavoro autonomo ai sensi dell’articolo 54, comma 1 del TUIR. In questo scenario, anche se la somma è commisurata al chilometraggio effettivamente percorso, essa assume natura di compenso e non semplicemente di rimborso di costi anticipati.
Quando può valere l’esclusione dal reddito
Il TUIR, nella sua versione riformata dal Dlgs 192/2024, stabilisce che non concorrono al reddito le somme percepite a titolo di rimborso solo se riguardano spese sostenute per l’esecuzione dell’incarico e addebitate analiticamente al committente. In pratica: il professionista che fattura separatamente, come “rimborso chilometrico”, il costo sostenuto e lo riaddebita al cliente, può vederne l’esclusione dal reddito. Ma la casistica dei rimborsi chilometrici non riunisce questi requisiti secondo l’Amministrazione finanziaria.
Perché il rimborso chilometrico viene considerato compenso
Nella sostanza, la risposta n. 270/2025 afferma che nei rimborsi chilometrici manca la “analiticità richiesta dalla norma”, cioè la riconducibilità puntuale e specifica al costo effettivamente sostenuto per fattura o documento separato e addebitato al cliente. Di conseguenza, tali somme non possono essere equiparate alle spese riaddebite analiticamente e, quindi, devono essere contabilizzate come reddito da lavoro autonomo. In capo al committente che opera da sostituto d’imposta, ciò implica l’applicazione della ritenuta d’acconto del 20 % ex articolo 25 del DPR 600/1973.
Effetti per il professionista
Per il professionista che riceve rimborsi chilometrici:
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Le somme percepite devono essere aggiunte ai compensi professionali e dichiarate ai fini IRPEF.
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Restano, tuttavia, deducibili le spese effettivamente sostenute dall’esercente arte o professione per l’esecuzione dell’incarico, purché documentate e inerenti all’attività.
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Il fatto che il rimborso fosse legato ad un chilometraggio effettivo non modifica la qualificazione a compenso, poiché manca l’addebito analitico al cliente.
Impatto sulle fatture e sulla sostituzione d’imposta
Il committente che eroga tali rimborsi in qualità di sostituto d’imposta è tenuto ad applicare la ritenuta del 20% sulle somme che assumono natura di compenso. Dall’altra parte, il professionista dovrà contabilizzare correttamente i rimborsi e le spese, distinguendo tra quelle ammissibili alla deduzione e i rimborsi considerati compenso.
Opportunità e rischi
L’opportunità per il professionista consiste nell’effettuare una corretta ripartizione fra:
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Spese documentate riaddebite analiticamente, che potenzialmente possono non concorrere al reddito se addebitate al cliente.
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Rimborsi chilometrici standard che, seguendo la prassi dell’Agenzia, concorrono al reddito.
Il rischio è che una gestione poco attenta porti a sotto‑dichiarazione di reddito o ad omissione della ritenuta da parte del cliente, con conseguenti contestazioni da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Conclusione
In sintesi: i rimborsi chilometrici percepiti da un professionista, anche se legati a chilometri effettivamente percorsi, non rientrano fra le “spese addebitate analiticamente” e quindi assumono natura di reddito professionale. Restano, invece, deducibili le spese effettivamente sostenute e documentate dall’esercente. Il corretto orientamento richiede che il professionista e il committente valutino attentamente le modalità di fatturazione e contabilizzazione alla luce della risposta n. 270/2025.
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