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Rifiuti speciali urbani, alle imprese la scelta sulla raccolta

 

Scatta il 1° gennaio la nuova categoria di rifiuti urbani rappresentata dai «rifiuti indifferenziati e da raccolta differenziata provenienti da altre fonti», diverse da quella domestica, «che sono simili per natura e composizione ai rifiuti domestici» indicati nell’allegato L-quater prodotti dalle attività riportate nell’allegato L-quinquies, alla parte IV del Codice ambientale (Dlgs 152/06).

 

Il tema impatta su:

  • le imprese che producono rifiuti (quanto pagare) e su quelle che li gestiscono (come mantenere il proprio mercato e attualizzare le autorizzazioni);
  • i Comuni che hanno perso il potere di assimilazione e che devono rifare i regolamenti;
  • probabilmente sui cittadini che, se diminuisse la platea delle imprese obbligate, rischierebbero aumenti della tariffa.

 

Molti dei rifiuti indicati nell’allegato L-quater sono diventati urbani per legge e sono indicati con il Codice europeo degli urbani (20). Molto spesso non c’è corrispondenza con il pregresso e si è posta, tra le tante, la questione delle autorizzazioni dei trasportatori che sono concesse per categoria e codici rifiuti e quelle degli impianti di ricevimento, concesse anche in base ai codici.

L’Albo nazionale gestori ambientali, con delibera 4 del 22 dicembre scorso, ha stabilito che le imprese iscritte nella categoria 4 e 2-bis dell’Albo per la raccolta e trasporto di rifiuti speciali non pericolosi, individuati come urbani dai nuovi allegati al “Codice ambientale”, possono continuare a operare «fino alla definizione delle modalità di adeguamento dei rispettivi provvedimenti d’iscrizione». Un transitorio che traghetta il settore fino a quando sarà chiarito come passare nella categoria 1 (quella per gli urbani).

 

Sotto il profilo degli impianti la situazione non è di competenza dell’Albo. L’assimilazione per legge si pone nel solco della delibera 443/19 di Arera sul nuovo metodo tariffario che ha introdotto il fattore di sharing per i gestori di rifiuti urbani: l’attribuzione di una quota parte dei ricavi della vendita di materiale ed energia derivanti da tali rifiuti.

 

Secondo il nuovo comma 10 dell’articolo 238 del Dlgs 152/06, ora l’utente non domestico deve scegliere tra il servizio privato e il gestore pubblico per almeno cinque anni; può sempre rientrare nel pubblico, ma non sembra possibile il contrario. Se si affida al privato, l’impresa non deve corrispondere la quota di tariffa rapportata alla quantità dei rifiuti conferiti, previa attestazione di avvio a recupero da parte del gestore privato. Se si è scelto un privato, si ritiene opportuno comunicare la scelta al gestore pubblico, entro la fine dell’anno, poiché dalla norma traspare un certo automatismo.

 

Altra zona d’ombra è la superficie sulla quale applicare la quota fissa; per giurisprudenza costante va applicata su tutta la superficie aziendale, quindi – a rigore – anche su quella dove si producono i rifiuti speciali.

 

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