Il caso che stiamo esaminando riguarda il trattamento fiscale del riscatto pagato in Bitcoin per riottenere i file sottratti a seguito di un attacco informatico. In particolare, analizzeremo la deducibilità del costo ai fini delle imposte dirette e dell’IVA.
Innanzitutto, va sottolineato che la società coinvolta non ha commesso un illecito penalmente rilevante e il pagamento del riscatto non può essere considerato funzionale alla commissione di un reato. Inoltre, non è stata avviata alcuna causa penale da parte del pubblico ministero. Pertanto, il regime di indeducibilità dei costi da reato di cui all’articolo 14, comma 4-bis, legge 537/1993 non si applica alle somme pagate.
Tuttavia, il pagamento del riscatto non consente la deducibilità del costo ai fini delle imposte dirette e dell’Irap, poiché non rispetta il principio di inerenza. Questo principio stabilisce che un costo è deducibile solo se è strettamente connesso all’attività dell’impresa e necessario per la sua produzione di reddito.
In particolare, l’Agenzia delle Entrate ha richiesto alla società di fornire un supporto documentale idoneo a dimostrare che l’uscita di denaro relativa all’acquisto dei Bitcoin e il successivo trasferimento degli stessi sono correlati alle prestazioni che gli hacker si sarebbero impegnati a eseguire. Tuttavia, la società non ha fornito tale prova documentale, pertanto il costo non può essere considerato deducibile.
Per quanto riguarda l’IVA, il trasferimento di Bitcoin non rileva in assenza del presupposto soggettivo. Ciò significa che non è possibile individuare lo status del prestatore, quindi l’operazione non rientra nell’ambito di applicazione dell’IVA.
In conclusione, il pagamento del riscatto in Bitcoin non è deducibile ai fini delle imposte dirette e dell’Irap se non è dimostrata l’inerenza del costo all’attività dell’impresa.
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