A partire dal 1° gennaio 2026, con l’entrata in vigore del nuovo impianto fiscale previsto dal Codice del Terzo settore, la distinzione tra contributi e corrispettivi non sarà più solo una questione terminologica, ma un parametro determinante per la qualificazione fiscale degli enti del Terzo settore (Ets). Una valutazione errata potrebbe far perdere la qualifica di ente “non commerciale” con conseguenze immediate su tassazione, obblighi dichiarativi e accesso a benefici.
Sovvenzione o corrispettivo? Un test cruciale
Secondo l’articolo 79, comma 5 del Codice, un Ets è qualificabile come “non commerciale” solo se le entrate derivanti da attività non commerciali risultano prevalenti rispetto a quelle di natura commerciale. Il comma 5-bis specifica che rientrano tra quelle “non commerciali” anche i contributi pubblici e le sovvenzioni, purché non vi sia una vera e propria controprestazione.
Tuttavia, in molti casi l’apporto economico della pubblica amministrazione avviene attraverso convenzioni, affidamenti o atti vincolanti che pongono interrogativi concreti: l’ente sta ricevendo un sostegno istituzionale o sta vendendo un servizio? È qui che emerge la necessità di un test rigoroso sulla natura dei flussi economici.
Quando un contributo è davvero “non commerciale”
Secondo i principi espressi già dalla circolare n. 34/E/2013 (ai fini IVA), la discriminante è la presenza o meno di un sinallagma, ossia di uno scambio economico tra ente e soggetto pubblico. Se manca un “vantaggio diretto” per l’amministrazione erogante, o se l’ente non è vincolato da obbligazioni contrattuali classiche, si può presumere che il contributo sia una sovvenzione, e quindi non commerciale.
Il contesto normativo del Terzo settore, però, introduce elementi che superano questa impostazione. Gli articoli 55 e seguenti del Codice descrivono modelli di co-programmazione e coprogettazione con la PA, che non rientrano nello schema classico dello scambio. La Corte costituzionale (sentenza n. 131/2020) ha chiarito che queste relazioni non sono contrattuali ma sussidiarie: l’amministrazione e l’Ets collaborano per l’interesse generale, senza generare obbligazioni reciproche.
La decommercializzazione “funzionale”
Il comma 4 dell’articolo 79 introduce un’ulteriore tutela per gli Ets “non commerciali”, stabilendo che gli apporti pubblici ricevuti per svolgere attività di interesse generale non concorrono alla formazione del reddito. Questa previsione permette di considerare come non commerciali anche quei contributi che, per forma, sembrano corrispettivi ma non alterano l’equilibrio economico dell’ente.
Il Codice prevede, infatti, che l’attività resti “non commerciale” se i ricavi (inclusi quelli da PA) non eccedono i costi di oltre il 6%, per non più di tre esercizi consecutivi. È un parametro tecnico, ma fondamentale per evitare la perdita dello status fiscale agevolato.
Esempi operativi
Caso 1: contributo vincolato ma senza controprestazione
Una cooperativa sociale riceve 80.000 euro dalla Regione per avviare un servizio di sostegno psicologico nei plessi scolastici, con obbligo di rendicontazione. Non è previsto alcun ritorno diretto per l’ente pubblico. Si tratta di una sovvenzione, non di un corrispettivo, e l’importo rientra nel test di prevalenza come entrata non commerciale.
Caso 2: affidamento con compenso per servizi specifici
Un Ets firma una convenzione con il Comune per la gestione di un centro anziani, ricevendo un corrispettivo legato alle presenze giornaliere e con standard di performance. In questo caso siamo in presenza di un rapporto sinallagmatico: si tratta di attività commerciale. L’importo rileverà come entrata commerciale ai fini del test.
Cosa serve ora: un intervento chiarificatore
Il quadro normativo è articolato ma, ad oggi, non esistono indicazioni ufficiali che aiutino gli enti a determinare con certezza la qualificazione di ogni apporto pubblico. Un intervento di prassi da parte dell’Agenzia delle Entrate è necessario e urgente. Senza criteri applicativi coerenti, gli enti rischiano di incorrere in errori che potrebbero comportare la perdita della qualifica fiscale, la revisione dei modelli contabili, l’incremento degli obblighi dichiarativi e l’esposizione a controlli.
Il ruolo strategico della consulenza preventiva
In vista dell’operatività dal 2026, ogni ente deve condurre una mappatura delle proprie entrate, classificare i rapporti con la PA e simulare gli effetti fiscali dei singoli apporti. Beneggi e Associati assiste gli Ets in questa analisi, attraverso strumenti di interpretazione normativa, comparazione tra fonti e modelli di simulazione contabile.
Chi si muove ora, con metodo, evita contenziosi futuri e preserva l’equilibrio strategico dell’ente, con vantaggi in termini di accesso ai fondi, continuità operativa e reputazione istituzionale.