Stabile organizzazione e lavoro da remoto: nessun automatismo secondo l’Ocse

Aggiornamento Ocse 2025: il lavoro da remoto non crea stabile organizzazione se il luogo è usato meno del 50% del tempo. Scopri le novità.

L’Ocse ha pubblicato l’aggiornamento 2025 del commentario al modello di Convenzione contro le doppie imposizioni, introducendo chiarimenti attesi sul tema del lavoro transfrontaliero da remoto. Si tratta di un intervento importante, che prova a dare certezza in un’area dove i modelli organizzativi post-pandemia hanno reso più labili i confini tra flessibilità del lavoro e rischi fiscali. Il cuore della novità è nel commentario all’articolo 5, dedicato alla stabile organizzazione, riformulato con nuovi paragrafi 44.1–44.21 e la soppressione di precedenti interpretazioni.

Il principio generale: nessun automatismo

Il lavoro da remoto non determina automaticamente la creazione di una stabile organizzazione. L’Ocse ribadisce che la valutazione resta di natura fattuale e dipende dalla disponibilità effettiva del luogo di lavoro per l’impresa. Non basta che il dipendente operi da casa o da un altro Paese: occorre verificare se quel luogo sia realmente a disposizione dell’impresa e se l’attività svolta non sia meramente preparatoria o ausiliaria.

Quando il rischio è escluso

Secondo il nuovo commentario, la stabile organizzazione è esclusa se il lavoratore utilizza il luogo meno del 50% del tempo in un anno e se la scelta di lavorare da remoto è personale, non richiesta dall’impresa. Questo criterio quantitativo non è un safe harbour universale, ma rappresenta un’indicazione utile per orientare le analisi. Rimane centrale la distinzione tra scelta volontaria del lavoratore e richiesta esplicita o implicita dell’impresa.

Le implicazioni operative per le imprese

Le aziende devono mappare con cura i modelli di lavoro ibrido e cross-border, chiarire per iscritto le ragioni organizzative e commerciali delle scelte e allineare i comportamenti effettivi agli assetti contrattuali. È fondamentale documentare che il luogo di lavoro remoto non è messo a disposizione dall’impresa in modo stabile e che non vi si svolgono funzioni essenziali per il business. In caso contrario, il rischio di stabile organizzazione potrebbe concretizzarsi, con conseguenze fiscali rilevanti.

Cosa dice il nuovo commentario Ocse

Il commentario non introduce esenzioni specifiche oltre alle tradizionali attività preparatorie o ausiliarie e non offre safe harbour universali. Tuttavia, fornisce una bussola più precisa per orientarsi nel lavoro da remoto oltre confine. I paragrafi 44.1–44.21 chiariscono che la disponibilità del luogo deve essere valutata in base a elementi concreti: durata, frequenza, controllo da parte dell’impresa e natura delle attività svolte. Se il luogo è utilizzato in modo continuativo e per funzioni core, il rischio di stabile organizzazione aumenta.

Esempio pratico di analisi

Immaginiamo un dipendente di una società italiana che lavora da casa in Francia per sei mesi all’anno, su richiesta dell’impresa, svolgendo attività di gestione commerciale. In questo caso, il luogo potrebbe essere considerato a disposizione dell’impresa, creando una stabile organizzazione in Francia. Diverso è il caso di un lavoratore che, per scelta personale, opera da remoto per poche settimane senza che l’impresa eserciti alcun controllo sul luogo: qui il rischio è minimo.

Perché questa novità è rilevante

L’aggiornamento Ocse risponde alle esigenze di certezza giuridica in un contesto in cui il lavoro da remoto è sempre più diffuso. Le imprese devono adottare policy chiare, definire contratti che specifichino la natura volontaria del lavoro da remoto e monitorare la durata e la frequenza delle attività cross-border. Una gestione attenta riduce il rischio di contestazioni fiscali e garantisce compliance internazionale.

Se la tua azienda gestisce personale in lavoro da remoto oltre confine, rivedi subito le policy e verifica la conformità alle linee guida Ocse 2025. Contattaci per evitare rischi di stabile organizzazione.

 


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