In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, sebbene non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio di imposta, in assenza di ragioni economiche apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici.
La sentenza n. 878/26/19 sottolinea tre aspetti particolarmente importanti nell’ambito dell’abuso del diritto:
- La redditività non deve essere necessariamente immediata. I giudici sottolineano come sia da escludere la configurabilità di una condotta abusiva se l’operazione o la serie di operazioni è giustificata da ragioni fiscali non marginali, valendo come tali anche quelle che non producono necessariamente una redditività immediata dell’operazione, ma rispondono ad esigenze di natura organizzativa determinando un miglioramento strutturale e funzionale dell’azienda.
- Il contribuente è libero di scegliere il regime fiscale più conveniente. Resta ferma la libertà del contribuente di scegliere l’operazione comportante il minor carico fiscale (fatta salva la sussistenza della «sostanza economica»).
- Non c’è abuso se la strategia aziendale è ben definita. Tale elemento appare essenziale. Laddove infatti il contribuente riesca a dimostrare che l’operazione o la serie di operazioni contestate hanno una propria ragion d’essere imprenditoriale e aziendale, all’atto pratico vengono automaticamente superati sia il tema della «sostanza economica» (in re ipsa), sia quello della non essenzialità del «movente fiscale» (se la strategia aziendale risulta essere valida e coerente con l’obiettivo, anche futuro, di massimizzare le “performance”, ne consegue che il vantaggio fiscale assume una valenza secondaria).
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