Test sierologico al lavoratore, nessuna imposizione aziendale

 

Il datore di lavoro può offrire ai propri dipendenti, anche sostenendone in parte i costi, l’opportunità di effettuare i test sierologici, ma non può imporli. L’accertamento sanitario deve essere una scelta del dipendente oppure deve essere il medico a chiederlo.

 

Il progressivo rientro al lavoro delle persone apre continuamente nuovi scenari e origina nuovi interrogativi.

 

Da qui il nuovo quesito sui test sierologici, rispetto al quale il Garante ha specificato che quel tipo di accertamento è possibile solo quando è disposto «dal medico competente e, in ogni caso, nel rispetto delle indicazioni fornite dalle autorità sanitarie, anche in merito all’affidabilità e all’appropriatezza» dei test.

 

C’è, poi, un altro problema: una volta effettuato il test prescritto dal medico, il datore di lavoro può trattare le informazioni relative alla diagnosi o all’anamnesi familiare del dipendente? Anche in questo caso la risposta è negativa. Ciò che il datore di lavoro deve fare è gestire l’esito sul giudizio di idoneità del dipendente alla mansione svolta e alle eventuali prescrizioni o limitazioni che il medico competente può stabilire. Fermo restando che «le visite e gli accertamenti, anche ai fini della valutazione della riammissione al lavoro del dipendente, devono essere posti in essere dal medico competente o da altro personale sanitario».

 

Detto questo, i lavoratori possono liberamente aderire alle campagne di screening avviate dalle autorità sanitarie a livello regionale relative ai test sierologici per verificare i contagi. E questo anche nel caso siano venuti a conoscenza della campagna di accertamento attraverso l’azienda, che può essere stata coinvolta dal dipartimento di prevenzione locale per promuovere gli screening tra i propri dipendenti.

 

Inoltre, i datori di lavoro possono offrire ai propri dipendenti, anche sostenendone in tutto o in parte i costi, l’effettuazione di test sierologici presso strutture sanitarie pubbliche e private (per esempio attraverso la stipula o l’integrazione di polizze sanitarie o mediante apposite convenzioni con le strutture). Anche in questo caso, però, vale la regola della libera scelta del lavoratore e si conferma l’impossibilità per l’azienda di conoscere l’esito dell’esame.

 

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