La Corte di Cassazione ha recentemente emesso un’ordinanza che potrebbe cambiare il trattamento dei ticket mensa in Italia: secondo la Sezione Lavoro della Cassazione (ordinanza n. 25840 del 27 settembre 2024), i lavoratori hanno diritto ai buoni pasto anche durante le ferie. La decisione si basa su un’interpretazione ampia del concetto di “ferie annuali retribuite” promossa dalla Corte di Giustizia Europea, che considera come retribuzione ogni compenso che un lavoratore riceve abitualmente durante la sua attività lavorativa, con l’obiettivo di rimuovere eventuali ostacoli al pieno godimento dei periodi di riposo.
Le ragioni
La decisione della Cassazione si rifà all’articolo 7, comma 1, della direttiva europea 88/2003, recepita in Italia con il D.Lgs. n. 66/2003, che disciplina l’organizzazione dell’orario di lavoro. Secondo la Corte di Giustizia, la retribuzione durante le ferie deve rispecchiare quella ordinaria per evitare che il lavoratore rinunci ai propri giorni di riposo a causa di una retribuzione inferiore. Nell’ordinanza, i giudici italiani affermano che la mancata corresponsione dei buoni pasto durante le ferie potrebbe rappresentare un deterrente per il lavoratore, scoraggiandolo dall’utilizzare i propri giorni di riposo e andando quindi contro l’obiettivo della direttiva europea di garantire un riposo effettivo per la salute e la sicurezza dei lavoratori.
Con questa decisione, la Cassazione abbraccia un concetto di “omnicomprensività retributiva”, che estende la nozione di retribuzione a ogni compenso percepito regolarmente dal lavoratore, non solo a quelli strettamente legati alle mansioni. La giurisprudenza italiana, fino ad oggi, aveva escluso l’omnicomprensività dalla retribuzione per i cosiddetti “istituti indiretti” (ferie, mensilità aggiuntive, malattia), stabilendo che la composizione della retribuzione durante le ferie dovrebbe essere stabilita dalla legge o dalla contrattazione collettiva.
L’ordinanza in esame cambia radicalmente questo approccio: accoglie il principio europeo per cui la retribuzione da garantire in ferie deve comprendere ogni compenso legato all’attività lavorativa e allo “status professionale” del dipendente. Tuttavia, la Cassazione non ha chiarito pienamente il collegamento tra il buono pasto e le mansioni del lavoratore, lasciando spazio a dubbi sull’effettiva natura retributiva del ticket mensa.
Le implicazioni per le aziende
Questa ordinanza ha destato sorpresa tra le aziende e gli operatori del diritto, poiché l’interpretazione prevalente fino ad oggi era quella di considerare i buoni pasto un beneficio assistenziale, erogato esclusivamente per facilitare il pasto del lavoratore nei pressi della sede aziendale. I buoni mensa, infatti, non erano mai stati considerati compensi per la prestazione lavorativa, ma solo una forma di supporto per esigenze quotidiane del lavoratore. La giurisprudenza italiana, in linea con questo principio, aveva escluso il diritto ai buoni pasto per i lavoratori in assenza per malattia, allattamento, congedo parentale, permessi e smart working, in quanto il beneficio era legato alla presenza fisica sul luogo di lavoro.
Con questa pronuncia, la Cassazione apre però alla possibilità di riconsiderare la natura del ticket mensa come parte integrante della retribuzione, potenzialmente estendibile anche ad altre forme di assenza per diritto.
Cosa cambia per i lavoratori?
Se questa pronuncia inaugurerà un nuovo orientamento giurisprudenziale, i lavoratori potrebbero avere diritto ai buoni pasto non solo durante le ferie, ma anche in altre situazioni protette dalla legge, come il congedo parentale o i permessi per assistere disabili, purché rientranti in diritti tutelati dal nostro ordinamento.
Questo cambiamento riflette una visione più ampia della retribuzione e potrebbe portare a un impatto su tutti i diritti connessi al riposo e all’assistenza, spingendo verso una riconsiderazione del buono pasto come parte essenziale del trattamento economico complessivo dei lavoratori.