La pratica di disaggregazione dei costi nel contesto del transfer pricing, specialmente per le società con attività multiple, è un tema delicato. La recente sentenza della Cgt Lombardia n. 46/2024 ha chiarito come debba essere gestita tale procedura per evitare distorsioni nei risultati.
La disaggregazione dei costi, utilizzata per monitorare e sottoporre a benchmark analysis le transazioni intercompany, richiede un’allocazione accurata dei costi in base alle attività e alle loro caratteristiche. Questa pratica è valida solo se supportata da una contabilità per centri di costo.
Consideriamo una società con due unità aziendali:
1. Unità commerciale (trading puro)
2. Unità produttiva (industriale)
Se la società non dispone di una contabilità per centri di costo e solo l’attività industriale è monitorata per il transfer pricing, l’allocazione dei costi basata su un driver non puntuale come il turnover può portare a risultati distorti. Ad esempio, l’area industriale, che generalmente assorbe meno costi rispetto al trading, potrebbe risultare penalizzata.
L’allocazione dei costi parametrata al turnover può sottostimare il mark-up sull’area industriale, rendendolo non congruo rispetto ai comparables del settore. Questo può accadere perché le due aree vengono erroneamente parificate in termini di assorbimento di costi.
La Cgt Lombardia, nella sentenza n. 46/2024, ha stabilito che l’ufficio non può arbitrariamente disaggregare e riattribuire i costi in assenza di una contabilità per centri di costo. La Corte ha affermato che l’ufficio non può utilizzare un criterio discrezionale e non adeguatamente motivato per ripartire i costi sulla base del fatturato.
I giudici hanno concluso che l’ufficio deve applicare correttivi adeguati per definire le transazioni da monitorare nei casi di multiattività. Questi correttivi possono includere: