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Omaggi e liberalità

Quando si regalano dei beni occorre operare due grandi distinzioni, la prima ai fini iva e la seconda per ottemperare alla disciplina delle imposte sui redditi.
Le cessioni gratuite di beni la cui produzione o il cui commercio rientra nell’attività propria dell’impresa sono operazioni imponibili ai fini IVA, con conseguente assoggettamento e versamento dell’imposta attraverso una delle seguenti procedure, tra loro alternative:
1) l’emissione di fattura in duplice esemplare e conseguente versamento dell’IVA a debito, con la possibilità di esercitare la rivalsa dell’imposta nei confronti del cessionario. Nel caso in cui la stessa non venga esercitata, occorre indicarlo espressamente in fattura: “Rivalsa non esercitata ai sensi dell’art. 18, terzo comma, DPR n. 633/1972”;
2) emissione di autofattura per omaggi, singola per ciascuna cessione o globale mensile per tutte le cessioni effettuate nel mese, con l’indicazione della base imponibile dei beni, dell’aliquota applicabile e della relativa imposta, oltre all’annotazione che trattasi di “autofattura per omaggi”. Tale autofattura deve essere registrata solo sul registro delle fatture emesse, con conseguente versamento dell’IVA a debito;
3) annotazione su un apposito “registro degli omaggi” dell’ammontare globale delle basi imponibili delle cessioni gratuite effettuate in ciascun giorno e delle relative imposte distinte per aliquota, con conseguente versamento dell’IVA a debito. La base imponibile sulla quale applicare l’imposta corrisponde al prezzo di acquisto o, in mancanza, al prezzo di costo dei beni o prodotti simili, determinati nel momento in cui si effettuano gli omaggi.
In tutte le ipotesi in cui il cedente decide di non addebitare l’IVA, l’operazione genera in capo allo stesso un debito d’imposta verso l’erario ed un costo indeducibile ai fini delle imposte dirette: l’art. 99 del TUIR prevede, infatti, che le imposte per cui è possibile richiedere, anche solo facoltativamente, la rivalsa non sono ammesse in deduzione.
Il destinatario dell’omaggio ha diritto a detrarre l’IVA corrisposta se il cedente esercita il diritto di rivalsa. Se, al contrario, tale diritto non viene esercitato, l’impresa che riceve l’omaggio non può portarsi in detrazione l’IVA.
Gli omaggi di beni la cui produzione o il cui commercio non rientra nell’attività propria dell’impresa sono operazioni fuori dal campo di applicazione dell’IVA: non sorge, pertanto, l’obbligo di emissione della fattura. Tuttavia, al fine di superare le presunzioni di vendita, è opportuno emettere un documento di trasporto riportante l’indicazione che trattasi di cessioni gratuite di beni non di propria produzione o commercio, oppure l’annotazione su un apposito registro.
Con riferimento agli acquisti, non è ammessa in detrazione l’IVA relativa alle spese di rappresentanza, così come definite ai fini delle imposte sul reddito, tranne quelle sostenute per l’acquisto di beni di costo unitario non superiore a 50,00 euro. In modo analogo, anche il TUIR prevede che sono interamente deducibili ai fini delle imposte dirette le spese relative ai beni distribuiti gratuitamente di valore unitario non superiore a 50,00 euro. Nel caso di un omaggio composto di più beni, il valore di 50,00 euro deve essere riferito al valore complessivo dell’omaggio e non al valore dei singoli beni che lo compongono.
Nell’ambito dei beni non di propria produzione o commercio è necessario distinguere gli omaggi offerti alla clientela da quelli offerti ai propri dipendenti. Mentre per gli omaggi offerti alla clientela è rispettato il requisito dell’inerenza (dato che l’acquisto e la successiva cessione gratuita sono finalizzati all’attività promozionale dell’impresa), per quelli offerti ai dipendenti, venendo a mancare tali requisiti, non può essere riconosciuto il diritto alla detrazione dell’IVA. Di conseguenza, nel caso di cessione gratuita ai propri dipendenti di beni che non rientrano nell’ambito dell’attività impresa, pur mantenendo la qualifica di operazione non soggetta ad IVA, il diritto alla detrazione sull’acquisto è precluso indipendentemente dall’importo.
Omaggi a fornitori e altri soggetti diversi dai clienti e dai dipendenti: Al riguardo, la relazione illustrativa al decreto fa espresso riferimento «all’esigenza di instaurare o mantenere rapporti con i rappresentanti delle amministrazioni statali, degli enti locali, ecc. o con organizzazioni private quali le associazioni di categoria, sindacali, ecc.».
È dunque evidente che, in tale contesto, possono essere qualificate come spese di rappresentanza non solo le erogazioni gratuite a favore di clienti, ma anche quelle a favore di altri soggetti con i quali l’impresa ha un interesse ad intrattenere pubbliche relazioni.
In definitiva, affinché una spesa sostenuta per erogare gratuitamente beni e servizi possa essere definita spesa di rappresentanza è necessario dimostrare che sussista una finalità promozionale o, alternativamente, una finalità di pubbliche relazioni, nel senso sopra chiarito.
La definizione generale di spese di rappresentanza chiarisce che «costituisce, in particolare, spese di rappresentanza: ogni altra spesa per beni e servizi distribuiti o erogati gratuitamente, ivi inclusi i contributi erogati gratuitamente per convegni, seminari e manifestazioni simili il cui sostenimento risponda ai criteri di inerenza indicati nel presente comma.». Non sono qualificabili come spese di rappresentanza quelle sostenute per eventi aziendali in cui sono presenti esclusivamente dipendenti dell’impresa, in quanto le spese non possono considerarsi sostenute nell’ambito di «significative attività promozionali» dei prodotti dell’impresa e per carenza, in definitiva, del requisito della ragionevolezza come prima individuato (collegamento con i ricavi dell’impresa).

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