Infortuni, prassi di lavoro scorrette e responsabilità del datore

Qualora nell’esercizio dell’attività lavorativa si instauri, con il consenso del preposto, una prassi contra legem, foriera di pericoli per gli addetti, in caso di infortunio del dipendente, la condotta del datore di lavoro che sia venuto meno ai doveri di formazione e informazione del lavoratore e che abbia omesso ogni forma di sorveglianza circa la pericolosa prassi operativa instauratasi, integra il reato di omicidio colposo o di lesioni colpose aggravato dalla violazione delle norme antinfortunistiche. La sorveglianza si realizza anche attraverso l’applicazione di adeguate sanzioni disciplinari, graduate secondo la pericolosità della condotta posta in essere.

Una delle innovazioni più significative introdotte dal D.Lgs. n. 81/2008 è il riconoscimento del ruolo strategico, sul piano prevenzionale, anche del sistema disciplinare nei casi in cui il lavoratore abbia violato le norme e le disposizioni aziendali in materia di salute e di sicurezza sul lavoro. L’articolo 30 del cd. “Testo unico” n. 81/2018, infatti, nel definire i requisiti del Sistema di Gestione Salute e Sicurezza sul Lavoro (SGSSL), prevede espressamente che «Il modello organizzativo deve in ogni caso prevedere, per quanto richiesto dalla natura e dimensioni dell’organizzazione e dal tipo di attività svolta, un’articolazione di funzioni che assicuri le competenze tecniche ei poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio, nonché un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello».

Il potere disciplinare del datore di lavoro viene ulteriormente enfatizzato in quanto direttamente funzionale al rispetto delle norme di sicurezza, in vista della tutela di un bene superiore qual è il diritto alla salute del lavoratore, ed è ritenuto strumento fondamentale per prevenire, quindi, condotte e procedure di lavoro scorrette che possono mettere in pericolo l’integrità dei lavoratori e dei terzi.

Alla luce, quindi, di questo nuovo approccio seguito dal legislatore la giurisprudenza sta assumendo progressivamente una posizione che risulta essere, invero, sempre più rigida nei casi in cui il lavoratore violi le norme e le procedure aziendali e, sotto tale profilo, appare emblematica la recentissima sentenza 17 gennaio 2020, n. 1683, con quale la S.C. di Cassazione, sez. IV pen., ha affrontato il dovere d’intervento del datore di lavoro in tali casi, il ruolo del preposto e l’adeguatezza dell’entità delle sanzioni disciplinari comminate.

Il datore di lavoro al fine di governare la complessità dei vari processi aziendali si avvale oltre che del dirigente della sicurezza anche dei preposti che «… sovrintendono alla attività lavorativa e garantiscono l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa». La vigilanza del datore di lavoro viene attuata, quindi, attraverso «figure dell’organigramma aziendale che – perché investiti dei relativi poteri e doveri – risultano garanti della prevenzione a titolo originario. Il datore di lavoro può assolvere all’obbligo di vigilare sull’osservanza delle misure di prevenzione adottate attraverso la preposizione di soggetti a ciò deputati e la previsione di procedure che assicurino la conoscenza da parte sua delle attività lavorative effettivamente compiute e delle loro concrete modalità esecutive, in modo da garantire la persistente efficacia delle misure di prevenzione scelte a seguito della valutazione dei rischi».

Il datore di lavoro non solo è tenuto all’esercizio doveroso dell’azione disciplinare ma deve anche adottare il provvedimento più efficace in termini anche prevenzionali, ossia la sospensione dall’attività. La sospensione, infatti, applicata tenendo conto di quanto prevede anche la contrattazione collettiva, pur non comportando il mutamento definitivo del rapporto di lavoro ha un’efficacia deterrente e un valore “educativo” ben superiore rispetto alle altre tipologie di sanzioni previste (rimprovero verbale; richiamo scritto; multa) che, ad avviso di chi scrive, non può essere però asetticamente applicata. La condotta scorretta del lavoratore, infatti, potrebbe avere origine i fattori strettamente individuali ma anche in deficit della formazione come «processo educativo attraverso il quale trasferire ai lavoratori ed agli altri soggetti del sistema di prevenzione e protezione aziendale conoscenze e procedure utili alla acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi»; in altri termini se il lavoratore ha violato una norma di sicurezza o ha applicato in modo non corretto una procedura di lavoro la causa di fondo potrebbe anche essere la mancanza o l’insufficiente percezione del rischio per se e per gli altri.

Di conseguenza, la sospensione per motivi disciplinari è di per se una misura di prevenzione organizzativa la cui efficacia, però, s’incrementa notevolmente quando viene messa in campo anche un’azione formativa correttiva della condotta scorretta del lavoratore.


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