Decreto Agosto, licenziamenti bloccati?

 

Per evitare che la crisi economica derivante dall’epidemia potesse ripercuotersi sui livelli occupazionali, la legislazione emergenziale ha introdotto con decorrenza dal 17 marzo 2020 e sino al 17 Agosto 2020 il blocco dei licenziamenti per motivi economici, sia collettivi sia individuali.

 

A pochi giorni dalla scadenza del divieto, il Governo non si è limitato a una semplice proroga del blocco, ma ha elaborato un “farraginoso” meccanismo in base al quale l’ultra-vigenza del divieto viene fatta coincidere con l’ulteriore periodo di fruizione della cassa integrazione Covid (18 settimane in totale, richiedibili dal 13 luglio 2020) o di godimento della decontribuzione (quattro mesi, fruibili entro il 31 dicembre 2020).

 

Pertanto, non vi è un termine di valenza generale trascorso il quale il divieto di licenziamento verrà meno: ci troviamo dinnanzi a una scadenza “mobile” che varia a seconda del periodo in cui la singola azienda fruirà dell’ammortizzatore sociale o dell’esenzione contributiva. In particolare, è prevista l’estensione del divieto di licenziamento per ragioni economiche per tutto il periodo (continuativo o frazionato) in cui il datore di lavoro beneficerà della (ulteriore) cassa integrazione Covid o dell’esonero dal versamento dei contributi.

 

Non si vuole dire chiaramente ciò che sarà: ovvero, che la moratoria sui licenziamenti è stata prorogata nei fatti sostanzialmente fino alla fine del 2020 per tutte quelle aziende che – causa la situazione emergenziale e, quindi, il blocco dei licenziamenti introdotto a marzo – hanno necessariamente fatto ricorso sin qui all’ammortizzatore Covid. E infatti, in caso di ricorso all’ammortizzatore sociale con decorrenza dalla prima data utile (13 luglio 2020), l’impresa non potrà licenziare quantomeno sino al 16 novembre 2020. Ma anche qualora non si volesse ricorrere alla Cigo Covid (che il decreto presenta pur sempre quale mera facoltà) restano i quattro mesi di decontribuzione per tutti coloro i quali abbiano fatto domanda di ammortizzatore sociale Covid per i mesi di maggio e giugno.

 

Esaminando il divieto con i rimandi contenuti nella norma, sembrerebbero escluse dalla proroga del divieto di licenziare per motivi economici solo le aziende che – da una parte – non abbiano intenzione o necessità di ulteriore ammortizzatore gratuito (quantomeno per le prime nove settimane) e che – dall’altra – non ne siano state beneficiarie nei mesi scorsi, quantomeno maggio e giugno.

 

Il decreto di Agosto prevede però specifiche fattispecie che rappresentano delle eccezioni al divieto di licenziamento:

  • Il divieto di licenziamento è escluso in caso di “cambio appalto”, ovvero quando «il personale interessato dal recesso, già impiegato nell’appalto, sia riassunto a seguito di subentro del nuovo appaltatore in forza di legge, di contratto collettivo nazionale di lavoro, o di clausola del contratto di appalto».
  • Il divieto non trova applicazione neppure nei casi di «licenziamenti motivati dalla cessazione definitiva dell’attività di impresa, conseguenti alla messa in liquidazione della società senza continuazione, anche parziale dell’attività» – sempre che in ciò non sia configurabile «un trasferimento d’azienda o di ramo di essa ai sensi dell’articolo 2112 del Codice civile» – e di «licenziamenti intimati in caso di fallimento, quando non sia previsto l’esercizio provvisorio dell’impresa, ovvero ne sia disposta la cessazione» (con la precisazione che nel caso in cui l’esercizio provvisorio sia disposto per uno specifico ramo di azienda, sono esclusi dal divieto i licenziamenti riguardanti i settori non compresi nello stesso).
  • Il divieto di licenziamento, infine, è escluso in caso di «accordo collettivo aziendale, stipulato dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, di incentivo alla risoluzione del rapporto di lavoro, limitatamente ai lavoratori che aderiscono al predetto accordo», facendo salvo il diritto di questi ultimi all’indennità di disoccupazione (Naspi). Ne consegue che solo le OO.SS. comparativamente più rappresentative a livello nazionale (e non anche le rispettive Rsa/Rsu) sono legittimate a stipulare tali intese sindacali con i datori, accordi che peraltro non sembrano coincidere con quelli di cui agli articoli 4 e 24 della legge n. 223/91 previsti per le procedure di licenziamento collettivo. Questa rappresenta la più interessante fattispecie fra le ipotesi di esclusione dal divieto di licenziamento per ragioni economiche. E infatti, pur trattandosi della via di più difficile realizzazione (presuppone un’intesa con i sindacati e poi l’adesione del lavoratore), potrebbe rilevarsi un valido strumento per consentire alle imprese di attuare processi di riorganizzazione “su base volontaria”. Di fatto si è “istituzionalizzato” tramite il canale sindacale ciò che già veniva realizzato a livello individuale, laddove in vigenza del divieto è sempre stata ammessa la possibilità per le parti di concludere accordi transattivi, anche a seguito di licenziamenti intimati in violazione del divieto, senza che da ciò potesse derivare la perdita della Naspi per il dipendente.

 

E’ evidente che la proroga del divieto di licenziamento per un ulteriore lungo periodo (peraltro variabile e indeterminato) che va persino oltre l’attuale scadenza della dichiarata emergenza epidemiologica (fissata al 15 ottobre 2020) continua a comprimere la libertà imprenditoriale di cui all’articolo 41 della Costituzione.

 

Cancellata la proroga automatica obbligatoria dei rapporti a termine e di somministrazione (ma anche di quello di apprendistato), prevista dall’articolo 93, comma 1 bis, del Dl 34/2020. La cancellazione della norma non sembra avere efficacia retroattiva e, quindi, per questo breve periodo i rapporti arrivati a scadenza dovrebbero restare soggetti all’obbligo di proroga. Le imprese che hanno già disposto la proroga di tali contratti dovranno, in coerenza con le intese siglate, continuare ad applicarli fino alla nuova scadenza. Meno scontato l’esito dei contratti che, in un eccesso di zelo, dovessero essere stati già prorogati anche se avrebbero avuto una scadenza successiva all’entrata in vigore della norma abrogativa. Di norma, se le imprese hanno comunicato la volontà di prolungare il rapporto come forma di adempimento di un obbligo legale, la cancellazione della norma potrebbe consentire loro di fare marcia indietro, revocando la proposta formulata al dipendente. Meno semplice sarebbe la soluzione qualora la proposta di proroga fosse stata già accettata e sottoscritta dal lavoratore. Una situazione sicuramente poco ricorrente, ma che richiederà cautela e buon senso da parte di tutti gli attori.

 

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