Con l’attività di somministrazione di alimenti e bevande sospesa, molti ristoratori e bar hanno iniziato il servizio da asporto, per il quale però non si applica l’aliquota Iva del 10% relativa al servizio di somministrazione, ma quella tipica del bene ceduto.
La somministrazione è una prestazione di servizi, caratterizzata dalla commistione di «prestazioni di dare» e di «prestazioni di fare», alla quale si applica l’aliquota Iva del 10%, indipendentemente dal tipo di prodotto somministrato.
Grazie alle «prestazioni di fare», le somministrazioni si distinguono dalle vendite di beni da asporto.
Sono assimilate alle somministrazioni anche quelle effettuate all’esterno del pubblico esercizio, se il loro «contenuto» è costituito, oltre che da una cessione di beni, anche da una prestazione di servizio, come ad esempio i rinfreschi o i buffet, effettuati con merce, attrezzatura e personale dell’azienda, nel domicilio o nella sede indicata dal cliente ovvero le «piccole somministrazioni» di caffè, cappuccini, effettuate presso uffici, negozi, scuole o enti. Sono incluse tra le somministrazioni di alimenti e bevande anche quelle effettuate mediante apparecchi di distribuzione automatica.
Sono cessioni di beni, invece, le cessioni di «piatti da asporto», senza somministrazione, come ad esempio il «take away», dove il cliente preleva nella sede del ristoratore il cibo da consumare altrove ovvero il «food delivery», dove il cliente chiede di farlo consegnare altrove e il trasporto è considerato un semplice servizio accessorio alla cessione di beni. In questi casi, l’aliquota Iva applicabile deve essere individuata a seconda delle componenti che qualificano la preparazione alimentare, individuando la classificazione doganale e l’eventuale corrispondente voce della Tabella A allegata al Dpr 633/1972. L’analisi dovrà essere effettuata in base alle caratteristiche del piatto pronto ceduto:
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