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Rivalutazione di beni, gli asset immateriali

 

La possibilità di fruire di una speciale legge di rivalutazione è di interesse sia per le imprese che nel 2020 consuntiveranno una perdita civile (al fine di non dover approvare bilanci che presenteranno molte criticità economiche e finanziarie) sia per coloro che dichiareranno un reddito fiscale (per godere del differenziale tra l’imposta sostitutiva sui maggiori valori iscritti e le minori imposte che verranno versate nei periodi di imposta successivi). Ci si sofferma nel prosieguo sulla rivalutazione degli asset immateriali, spesso di più difficile valutazione.

 

La possibilità di rivalutazione dei beni d’impresa offerta dall’articolo 110, Dl 14 agosto 2020, n. 104 (cd. Decreto Agosto) riguarda anche i beni immateriali inclusi tra le immobilizzazioni.

 

Occorre da subito premettere che non possono formare oggetto di rivalutazione quelle voci comunque classificabili nelle immobilizzazioni immateriali ma che non presentino le caratteristiche legali civilistiche di un asset vero e proprio: ci riferiamo in particolare all’avviamento e agli oneri pluriennali, che non si qualificano come «beni immateriali».

 

È lecito rivalutare anche i beni:

  • completamente ammortizzati(Cm 13 giugno 2006, n. 18/E, paragrafo 1.2; cfr. anche OIC, documento interpretativo 7, emanato in bozza per la consultazione sino al 30 novembre 2020), purché vi sia la ragionevole certezza che il bene sia di proprietà (dimostrato, ad esempio, dal possesso delle fatture di acquisto, di un contratto che ne attesti il possesso, che il bene sia presente, anche in passato, nei registri contabili) o quanto meno sia stato utilizzato, indipendentemente dall’iscrizione nelle scritture contabili della società;
  • mai iscritti nell’attivo immobilizzato. Questa interpretazione deriva anche leggendo interventi di prassi, più o meno recenti (Rm 10 agosto 1991, n. 9/611), laddove si afferma che anche la cessione di un bene immateriale, mai iscritto in contabilità, può usufruire del regime previsto per la rateizzazione della plusvalenza (di cui all’articolo 86 del Tuir). In maniera ancor più esplicita si legge (nella risposta ad interpello 4 febbraio 2020, n. 19) che la rateizzazione della plusvalenza è consentita anche se «il bene immateriale non è mai figurato in bilancio in quanto non è stato sostenuto alcun costo per il suo acquisto o per la sua produzione» (es. perché autoprodotto).

 

Tra i “beni” immateriali che rientrano nella rivalutazione vi sono certamente i marchi, i brevetti, come pure il know how (questo bene immateriale viene esplicitamente indicato tra i beni immateriali rivalutabili dalla circolare Min.Finanze 16 novembre 2000, n. 207).

 

La rivalutazione va annotata nel libro inventari e segnalata nella nota integrativa. Gli amministratori (e l’eventuale collegio sindacale), nelle relazioni al bilancio, devono indicare e motivare i criteri seguiti nella rivalutazione ed attestare che sono stati rispettati i limiti di valore.

 

Per le imprese in contabilità semplificata, la rivalutazione è consentita a condizione che venga redatto un apposito prospetto, da conservare e da esibire all’amministrazione finanziaria in caso di richiesta, dal quale risultino i prezzi di costo e la rivalutazione compiuta.

 

La legge di rivalutazione in esame richiama anche l’articolo 11, legge 342/2000, che prevede che gli amministratori e i sindaci, oltre a dover indicare e motivare nelle loro relazioni al bilancio i criteri seguiti nella rivalutazione, devono attestare che la rivalutazione operata non ecceda il valore effettivamente attribuibile al bene oggetto di rivalutazione, avuto riguardo alla sua consistenza, alla sua capacità produttiva, all’effettiva possibilità di economica utilizzazione nell’impresa, nonché ai valori correnti e alle quotazioni rilevate in mercati regolamentati italiani o esteri. L’attestazione serve per impedire sopravvalutazioni (o annacquamento) del patrimonio sociale, ma comporta ovviamente una seria responsabilità in capo ad amministratori e sindaci.

 

La rivalutazione non richiede la redazione di una perizia da parte di terzi, ma potrebbe essere utile ottenerne una (meglio se giurata), redatta da un professionista qualificato, che attesti l’esistenza del bene immateriale e il suo valore (la sua recuperabilità). Ciò per attenuare i rischi di natura civilistica visti sopra, ma anche quelli di natura fiscale. Poiché, come detto, la perizia giurata non è un atto pubblico (Corte di Cassazione, ordinanza 13636/2018), e quindi non è assistito dalla fede privilegiata di cui all’art. 2700 del Codice civile (ai sensi del quale l’atto pubblico fa piena prova fino a querela di falso della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti) l’amministrazione finanziaria avrà pur sempre il potere di disconoscere – ai fini fiscali – le valutazioni recate nella perizia (e accertarne un diverso valore), qualora questa si riveli inattendibile.

 

In conclusione, se la rivalutazione prevista dal Dl 104/2020 rappresenta una interessante opportunità per le imprese in perdita (che effettueranno, probabilmente, una rivalutazione solo civilistica) come pure di quelli che producono utili (stante la possibilità di allineare i valori civili e fiscali versando un’imposta sostitutiva con la modesta aliquota del 3%), va attentamente valutata in termini di responsabilità. Anche a tal fine cautele sono quanto meno opportune.

 

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