La normativa sul Terzo Settore, contenuta nel Codice del Terzo Settore o CTS, ha come obbiettivo principale quello di disegnare il nuovo profilo dei soggetti che operano nello speciale comparto delle organizzazioni senza scopo di lucro.
Negli Enti del Terzo Settore il “guadagno”, nel senso più strettamente capitalistico, non può essere estromesso dall’attività ma deve rimanere all’interno dell’ente, vincolato indissolubilmente alla finalità statutaria. In questo campo, quindi, l’imprenditore deve essere mosso da forti ideali solidaristici più che dalla necessità di avere un ritorno personale. Se così stanno le cose è evidente che il riscontro pratico con la realtà può portare qualche difficoltà.
La distribuzione indiretta di utili: La prima regola è quella contenuta nella lettera b) del comma 3 dell’art. 8 del CTS che elenca le fattispecie di distribuzione indiretta di utili, vietata agli Enti del Terzo Settore (ETS) proprio perché tradisce il vincolo del fine non lucrativo. Tra le varie ipotesi previste dalla norma citata c’è anche quella in base alla quale si considera distribuzione indiretta di utili «la corresponsione a lavoratori subordinati o autonomi di retribuzioni o compensi superiori del quaranta per cento rispetto a quelli previsti, per le medesime qualifiche, dai contratti collettivi di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, salvo comprovate esigenze attinenti alla necessità di acquisire specifiche competenze ai fini dello svolgimento delle attività di interesse generale di cui all’articolo 5, comma 1, lettere b), g) o h)».
Le norme del CTS sul lavoro: «i lavoratori degli enti del Terzo settore hanno diritto ad un trattamento economico e normativo non inferiore a quello previsto dai contratti collettivi di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81. In ogni caso, in ciascun ente del Terzo settore, la differenza retributiva tra lavoratori dipendenti non può essere superiore al rapporto uno a otto, da calcolarsi sulla base della retribuzione annua lorda». Il rispetto di questo limite va segnalato nella documentazione di supporto al bilancio. Questa disposizione si applica infatti solo ai “nuovi” rapporti di lavoro dipendente: ai fini del rispetto del rapporto proporzionale indicato nella disposizione, il trattamento economico del nuovo rapporto di lavoro andrà commisurato alla retribuzione più bassa già in essere presso l’ETS in sintonia con la ratio di contenere entro un limite definito il divario con le retribuzioni applicate ai titolari delle posizioni di responsabilità dell’ente.
Elemento centrale nella riforma del Terzo Settore è poi l’art. 17 del Codice che disciplina l’attività dei volontari specificando, in particolare, che «la qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di lavoro retribuito con l’ente di cui il volontario è socio o associato o tramite il quale svolge la propria attività volontaria»; il divieto vale anche per gli eventuali volontari “occasionali”, che non risultino iscritti nell’apposito registro obbligatorio. Questa incompatibilità «intende valorizzare la libera scelta del volontario, che esula da qualunque vincolo di natura obbligatoria o da condizionamenti di alcun tipo. Al contempo, essa intende assicurare la necessaria tutela del lavoratore da possibili abusi legati ad attività che non rispondono alle caratteristiche dell’azione volontaria».
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