Per le ristrutturazioni di edifici civili, la percentuale minima di incidenza della manodopera sul valore totale del cantiere dovrà essere del 22 per cento. Sotto questa soglia, scatteranno le verifiche e l’impresa potrà essere dichiarata irregolare. Basta questo esempio a spiegare il funzionamento del nuovo Durc di congruità.
Il decreto agisce sui lavori pubblici, su quelli privati (solo sopra i 70mila euro), sui subappalti, ma anche in caso di lavoratori autonomi coinvolti nell’esecuzione. E riguarda tutte le attività «direttamente e funzionalmente connesse all’attività resa dall’impresa affidataria dei lavori, per le quali trova applicazione la contrattazione collettiva edile». Si parte dai lavori denunciati a partire da novembre 2021.
Il riferimento saranno i dati comunicati alla Cassa edile sul valore complessivo dell’opera e sul valore dei lavori edili previsti. Prima del saldo finale dei lavori, l’impresa dovrà richiedere proprio alla Cassa edile l’attestazione di congruità della manodopera. Qualora non sia possibile rilasciarla, le difformità riscontrate saranno comunicate in maniera analitica all’impresa, con l’invito a regolarizzare la sua posizione entro quindici giorni. Scaduto questo termine, scatterà l’iscrizione nella Banca dati delle imprese irregolari.
Qualora lo scostamento dagli indici sia pari o inferiore al 5%, l’attestazione potrà essere rilasciata, «previa idonea dichiarazione del direttore dei lavori che giustifichi tale scostamento». In alternativa, l’impresa non congrua potrà dimostrare il raggiungimento della percentuale di incidenza della manodopera, «mediante esibizione di documentazione idonea ad attestare costi non registrati presso la Cassa edile».
Gli effetti di un eventuale esito negativo sono molto pesanti. Il decreto, infatti, spiega che questo «incide, dalla data di emissione, sulle successive verifiche di regolarità contributiva finalizzate al rilascio per l’impresa affidataria del Durc online». Quindi, senza congruità non c’è Durc e l’impresa viene, di fatto, esclusa dal mercato.
I rischi dei committenti: i committenti non sembrano valutare sempre adeguatamente i rischi derivanti dall’anteporre l’economicità dell’appalto all’affidabilità dell’appaltatore, rischi che si presentano in primis rispetto ai trattamenti retributivi del personale impiegato nell’appalto. Il committente, in base all’articolo 29 del Dlgs 276/03, è responsabile solidalmente con l’appaltatore e con gli eventuali subappaltatori, entro il limite di due anni dalla cessazione dell’appalto, per i trattamenti retributivi, le quote di Tfr, i contributi previdenziali e i premi assicurativi dovuti per il periodo di esecuzione del contratto di appalto. La responsabilità del committente sorge non solo in caso di mancato pagamento della retribuzione pattuita a favore dei lavoratori impiegati nell’appalto, ma anche se la retribuzione, pur corrisposta dall’appaltatore, non risulti proporzionata o sufficiente in base all’articolo 36 della Costituzione, che fissa il diritto inderogabile del lavoratore «ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa». Nel caso, quindi, di applicazione di trattamenti retributivi non conformi al dettato dell’articolo 36, possono ingenerarsi rivendicazioni – anche nei confronti del committente – da parte del personale dell’appalto, degli enti previdenziali e delle autorità ispettive.
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