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Più convenienza ai prestiti "P2P"

Con l’introduzione della ritenuta sui prestiti peer to peer (P2P) ad opera della legge di Bilancio 2018, il legislatore torna ad occuparsi di crowdfunding, cercando di delineare una normativa fiscale per il settore Fintech, ossia per quelle prestazioni che prevedono un connubio tra tecnologia e servizi finanziari e andando ad integrare l’articolo 78 del Dlgs 117/2017 (Codice del terzo settore), che prevede una ritenuta del 12,50% sui prestiti P2P, se finalizzati al sostegno delle attività di interesse generale.
La novità è stata introdotta in due fasi:
” includendo i proventi derivanti dai prestiti P2P tra i redditi di capitale;
” prevedendo l’obbligo per gli intermediari intervenuti nell’operazione, di applicare una ritenuta del 26% a titolo d’imposta su quei proventi.
La manovra 2018 ha reso più appetibile una diversa forma di investimento. Il peer to peer lending, infatti, altro non è che un prestito tra privati, che però avviene in un mercato virtuale, ovvero su piattaforme online gestite da società iscritte all’albo degli intermediari finanziari (articolo 106 del testo unico bancario, Dlgs 385/1993) o da istituti di pagamento di cui all’articolo 114 del Tub, autorizzati dalla Banca d’Italia.
I prestiti P2P sono, pertanto, una particolare tipologia di lending crowdfunding, che consente a privati di richiedere le risorse necessarie a una pluralità di finanziatori non professionali, anche in deroga al divieto di raccolta del risparmio tra il pubblico di cui all’articolo 11 del Tub, ma alle condizioni dettate dal provvedimento della Banca d’Italia dell’8 novembre 2016.
La peculiarità delle varie forme di crowdfunding, che poi ne rappresenta anche il punto di forza, è la possibilità per un soggetto di ottenere le risorse necessarie in un canale alternativo e da una pluralità di soggetti, i quali a loro volta, oltre a scegliere su chi investire, possono diversificare il proprio portafoglio: di solito le somme richieste non sono elevate e, quindi, è possibile investire in più progetti.
Questa forma di ricerca di finanziamento/investimento dovrebbe essere valutata con attenzione, in quanto grazie all’incontro tra domanda e offerta, le parti possono meglio contrattare il prestito, anche a condizioni più vantaggiose, considerato che solitamente le commissioni sono minori e i tassi di interesse offerti sono più alti.
Innanzitutto, chi richiede i fondi (fundraiser) presenta il proprio progetto ai gestori del portale, i quali, dopo aver assegnato un rating di rischio al richiedente, pubblicano sulla piattaforma la richiesta.
Minore è il rating, maggiore è il rischio e maggiore dovrà essere il tasso di interesse offerto.
A questo punto, intervengono i finanziatori che, prima di decidere se investire in quel progetto, possono ottenere più informazioni dal richiedente e trattare le condizioni del contratto. Ma a fronte di un maggior rendimento, non ci sono garanzie per il finanziatore in caso di insuccesso del fundraiser, pertanto è bene valutare con attenzione il rating assegnato.
Il finanziatore riceverà quindi una remunerazione (interesse) per il prestito, che rientra nell’ambito applicativo della nuova lettera d-bis), comma 1, dell’articolo 44 del Tuir. Poiché il trasferimento di fondi deve avvenire per il tramite della piattaforma, il legislatore ha imposto ai gestori l’obbligo di operare la ritenuta d’imposta del 26% sugli interessi percepiti dal finanziatore.
Il regime fiscale previgente prevedeva che queste remunerazioni concorressero alla determinazione della base imponibile dell’imposta sui redditi; pertanto erano tassate in base allo scaglione Irpef di appartenenza. Solo chi rientrava nella prima fascia di tassazione era favorito nella previgente disciplina.
Inoltre, nei piani individuali di risparmio (Pir), dal 2018, è possibile far rientrare anche i prestiti P2P, con la conseguenza che gli interessi percepiti saranno esenti da imposizione, qualora vengano rispettate le condizioni imposte dalla norma.

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